La Spagna (forse) ci ripensa. Dopo l’incomprensibile scelta di chiudere gradualmente tutte le centrali nucleari del Paese iberico entro il 2035, il governo ultra-socialista guidato dal premier Pedro Sanchez accenna una retromarcia e frena su quella che sembrava ormai una strada spianata. “L’energia nucleare continua ad essere presente nel nostro mix energetico, almeno fino al 2035“, ha affermato di recente il ministro spagnolo per la Transizione ecologica, Sara Aagesen, sottolineando però come l’esecutivo di Madrid “non esclude la proroga“.
In Spagna si apre così la possibilità di un maggiore dialogo con i gestori dei cinque impianti nucleari attualmente attivi, che contribuiscono per il 20% al mix energetico, il cui progressivo smantellamento era stato decretato con una precisa roadmap in crescendo. Secondo i piani, lo spegnimento inizierà infatti dal primo reattore di Almaraz nel novembre 2027, mentre il secondo sarà chiuso nell’ottobre 2028. A seguire, nel maggio del 2035, toccherà alle centrali di Ascó, Cofrentes, Vandellós e Trillo. Dopo la cessazione delle attività sarà necessario aspettare tre anni prima di dare il via allo smantellamento degli impianti che, stando ai piani, dovrebbe durare circa dieci anni. Un’operazione da circa 20,2 miliardi di euro, coperti principalmente dai gestori delle centrali (Iberdrola, Endesa e Naturgy).
Le recenti valutazioni espresse dal governo spagnolo, tuttavia, aprono nuovi scenari o quantomeno prospettano una “exit strategy” più morbida del previsto. Nel mezzo c’è anche la battaglia politica, con il partito popolare di centrodestra, che ha formalmente chiesto la revisione del programma di chiusura delle centrali nucleari. L’energia dell’atomo, ciclicamente esposta a una demonizzazione irrazionale o comunque priva di solidi fondamenti, presenta del resto diversi vantaggi, tra cui le bassissime emissioni di gas serra, una produzione di energia stabile e continua, nonché un’elevata efficienza energetica. A ciò si aggiungono sempre maggiori livelli di sicurezza grazie alle centrali di nuova generazione con i mini-reattori nucleari.
In un momento storico attraversato da incertezze e tensioni geopolitiche, il tema della sicurezza energetica è tornato così di stretta attualità anche nel Paese iberico, che sulla spinta del governo di Sanchez aveva abbracciato una linea anti-nucleare ispirata dall’ideologia e divergente da quella di altre nazioni (la vicina Italia, ad esempio).
Molti Paesi in tutto il mondo stanno infatti rilanciando l’energia nucleare con l’obiettivo di garantirsi una maggiore indipendenza energetica, mentre i parchi solari ed eolici – sui quali la Spagna aveva deciso di puntare unicamente – richiedono ancora lo sviluppo di infrastrutture di batterie su larga scala per diventare una fonte di elettricità stabile. La Cina sta costruendo 28 nuovi reattori, mentre Canada, Regno Unito e Stati Uniti prevedono che i reattori avanzati entreranno in funzione entro la fine del decennio. Il Belgio, intanto, ha ritardato la chiusura di due dei suoi impianti fino al 2035.
A Madrid, intanto, l’approccio oltranzista fa i conti con la realtà, mettendo il governo Sanchez al bivio: transizione intelligente o estremismo in salsa green?
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