Tante buone intenzioni, poche nuove tendenze. Il Salone del Mobile 2025 si è adagiato su uno dei propri griffatissimi sofà. Bello comodo, forse fin troppo. La contraddizione del grande evento milanese dedicato al mondo del design è racchiusa tutta qui: la tensione innovativa che da sempre caratterizza l’atteso appuntamento, quest’anno non ha trovato particolari espressioni. E anzi è apparsa più timida del previsto, in linea con il clima di forte incertezza dei mercati internazionali. A riconoscerlo sono gli stessi addetti ai lavori, che per tutta la settimana hanno battuto in lungo e in largo i luoghi simbolo dell’esposizione, eventi collaterali compresi.
«Il Salone 2025? Nulla di eclatante. Ho visto tante idee in divenire ma nessuna vera tendenza. Mi è sembrata un’edizione un po’ caotica e disorientata rispetto alle precedenti. Di conseguenza, anche i quartieri della città interessati dalle installazioni non sono stati valorizzati a sufficienza», commenta Fernando Mosca, architetto italo-argentino che proprio a Milano ha realizzato molti dei suoi progetti più prestigiosi.
L’ideale paradigma di questa incompiutezza – spiega il professionista – lo ha rappresentato il regista Paolo Sorrentino, che a Rho Fiera ha realizzato un progetto intitolato «La dolce attesa». Nomen omen. «Davanti a noi abbiamo un vuoto da riempire o un’opportunità da accogliere. L’attesa non è un tempo inutile, ma un ponte tra presente e futuro. Quindi i designer e gli investitori ora devono sfruttare questo momento per capire quale direzione prendere», spiega ancora Mosca a Moneta. Nello specifico, il mondo del design e quello dell’arredo dovranno interpretare al meglio i bisogni dei consumatori, che vanno sempre più verso la ricerca dei materiali, l’attenzione alla natura e al bel vivere. «È il momento di gettare le fondamenta per costruire qualcosa di nuovo, per aprire una nuova strada», sintetizza il progettista d’interni, riferendosi espressamente alla necessità di guardare con ottimismo al futuro. Soprattutto a conclusione di un Salone che, al di là delle visite, del solito viavai e della corposa copertura mediatica, «ha manifestato idee ancora confuse e poco coraggiose».
Le tensioni geopolitiche con epicentro in Ucraina e in Medio Oriente, ma anche la più spada di Damocle dei dazi, hanno del resto avuto inevitabili contraccolpi su un settore tutt’altro che marginale per l’economia tricolore. L’arredo, infatti, non è un orpello: nel 2023 il mobile Made in Italy si è confermato ai vertici in Europa, con un fatturato di 25,8 miliardi di euro.
La buona notizia è che questo comparto ha resistito meglio di altri all’onda d’urto, mantenendo la propria competitività a livello internazionale. Merito del lavoro di 51.497 imprese, di cui 29.566 (il 57,4%) operanti nel legno e 21.931 (il 42,6%) nei mobili. Un esercito di fabbriche per lo più artigianali (33.280 appartengono a questa categoria) sulle quali occorre continuare a scommettere, senza cedere alla tentazione per certi versi comprensibile dell’attendismo. «L’attuale momento di staticità creativa – osserva Mosca – è a mio avviso quello giusto per investire, perché le idee abbozzate ma non approfondite al Salone 2025 si concretizzeranno al meglio da qui ai prossimi anni, quando il settore si concentrerà sempre più su un’economia di prodotto».
Il mobile di domani, insomma, si costruisce già oggi nonostante la difficoltà di reperire nuovi designer registrata da Unioncamere con il ministero del Lavoro: secondo i dati di recente divulgazione, nel 2024 le imprese italiane hanno indicato 21.470 entrate di disegnatori industriali, di cui il 66,9% di difficile reperimento, quota in crescita rispetto al 60,2% del 2023 e al 59,1% del 2022. A fronte di questi numeri, è tuttavia sbagliato credere che l’intelligenza artificiale la farà da padrona, togliendo spazio alle intuizioni e alla componente creativa. «Si aprono due vie: quella razionale degli algoritmi e quella più animica ed emotiva. Se l’innovazione andrà di pari passo all’originalità del Made in Italy, il mercato avrà davanti tanta strada».
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