l “drill baby drill” di Donald Trump non è poi una grande rivoluzione, soprattutto se consideriamo che «la transizione energetica non è mai iniziata e il passaggio dal fossile al rinnovabile non esiste nei numeri». Nel bel mezzo di una bufera commerciale, finanziaria e macroeconomia che sta avendo effetti diretti o indiretti su tutti i settori, il professor Alberto Clò – già ministro tecnico dell’Industria nel governo Dini (1995-1996) e grande esperto di ambiente ed energia – riconosce a Moneta la discontinuità portata dall’amministrazione Trump, ma definisce la narrazione dominante un «mito da sfatare».
Professore, in che senso la transizione è un mito?
Il ritorno di Trump segna un punto di discontinuità delle politiche energetiche, l’urgenza di adottare politiche climatiche intense non c’è più. Ma sfatiamo un luogo comune, la transizione energetica con il passaggio dal dominio ultradecennale delle fossili al dominio delle rinnovabili non è avvenuto. Nel 2024, l’80%dei consumi mondiali è stato fossile, così come 40-50 anni fa. La transizione non si è mai nemmeno avviata”.
Ma la quota rinnovabile crescente dove la colloca?
Si è semplicemente aggiunta a una domanda crescente: eolico, solare, fotovoltaico non hanno sostituito le fossili, ma solo coperto l’extra richiesta. Il carbone è arrivato a oltre 8 miliardi di tonnellate, il petrolio a 105 milioni di barili al giorno e il gas a 4200miliardi di metri cubi: più di quanto ci fosse prima del Covid. Le dinamiche che spingono in alto i consumi, ovvero la fame di energia del mondo povero, è così forte che dovendo essere soddisfatta non può che fare affidamento in buona parte sulle fonti fossili.
Nella sostanza quindi l’arrivo di Trump che effetto ha?
Non sostanziale, ma qualitativo. Se prima c’era una condivisione sulla necessità di aggredire in tempi brevi le emissioni e il riscaldamento globale, soprattutto in Usa e Europa, ora non è più così. Questo avrà un impatto sulle dinamiche globali. Dinamiche già però sbilanciate e che ora spingeranno ulteriormente gli investimenti delle società in petrolio e gas.
Avverrà anche in Europa?
Il Vecchio Continente è isolato e sta già rivedendo gli obiettivi del Green Deal, anche perché non possiamo omettere – come ha fatto Mario Draghi – che queste politiche non abbiano pesato fortemente sulla competitività dell’economia europea.
In che senso?
Draghi ha sostenuto nel suo rapporto che le politiche climatiche sarebbero state in grado di sostenere lo sviluppo europeo e invece non è stato così e l’economia cresce poco. E l’Europa, a causa del Green Deal, ha prezzi dell’energia due-tre volte superiori a quelli americani, per non parlare di quelli cinesi.
Quali prospettive porta questa incertezza?
La combinazione tra guerre commerciali e politiche energetiche sta determinando una riduzione della domanda, e del petrolio in particolare. Da qui il calo dei prezzi del petrolio che sono passati dai 70/75 dollari in area 60 dollari. Se l’America va in recessione questo avrà un impatto globale con riflesso negativo sui prezzi di petrolio e gas. D’altra parte, le politiche Opec potrebbero spingere in senso opposto i prezzi in una prospettiva più lunga.
Il greggio resterà mini?
Trump vorrebbe che i prezzi si riducessero perchè le famiglie Usa sono molto sensibili ai prezzi della benzina. Ma un petrolio troppo basso non permette alle aziende di rendere sostenibile l’estrazione.
Quanto invece al gas ?
Resta sempre in un mercato teso molto sensibile agli scenari geopolitici. E in questo quadro non possiamo non notare che nel 2024 sono aumentate le importazioni dalla Russia: del 18% nel 2024 (da 38 a 45 miliardi di metri cubi), soprattutto a causa dell’aumento delle importazioni in Italia (+4 miliardi di metri cubi).
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