Negli Stati Uniti, al tempo di Donald Trump, la cultura del potere è tutt’altro che “machista”. Dalla cerchia familiare alla Casa Bianca, fino agli apparati di sicurezza nazionale tra le persone più vicine al presidente, nonché di sua totale fiducia, figurano per lo più donne. Leali, guerrigliere, più realiste del re. Un corpo d’élite tutto al femminile incaricato di proteggere il capo della Casa Bianca, rivoluzionare il “deep State” statunitense, spiare i suoi nemici. La primissima cerchia è appunto quella domestica, di sangue, che vede la first lady Melania a cavallo tra Mar-a-Lago e Washington DC. Poi la figlia prediletta Ivanka, moglie di Jared Kushner, già suo consigliere per la politica estera nel primo mandato. E ancora la nuora Lara, moglie del figlio Eric, e molto attiva come “fundraiser” durante la campagna elettorale. Senza dimenticare la nipote diciassettenne Kai, figlia di Donald Trump Jr, che racconta in presa diretta sui social il dietro le quinte della nuova amministrazione. Una sorta di House of card su smartphone per qualche milione di adolescenti.
Allargando il compasso del potere, la seconda cerchia è composta da due donne che operano all’interno della Casa Bianca e che affiancano Donald Trump nella quotidianità presidenziale. Sullo sfondo c’è sempre Susan Summerall Wiles, detta “ice baby” – considerata da molti l’artefice della vittoria in campagna elettorale – divenuta a 67 anni capo dello staff dello Studio Ovale, cioè una delle personalità più potenti di Washington, la prima donna a ricoprire questo ruolo nevralgico. Mentre in primo piano, davanti ai microfoni, c’è Karoline Leavitt che a soli 27 anni è stata nominata portavoce, divenendo la più giovane di sempre in queste vesti. Infine, la terza cerchia è quella più d’assalto e incaricata ad agire sul fronte della sicurezza nazionale, nonché sulla gestione del potere. Su tutte, ci sono state due nomine che hanno scompaginato i cosiddetti apparati del “Deep State” statunitense. C’è Kristi Noem, a capo della Homeland Security, il dipartimento che si occupa del controllo delle frontiere, di immigrazione clandestina, anti-terrorismo e cybersecurity. E poi Tulsi Gabbard, ex democratica e veterana di guerra, divenuta direttrice della National Intelligence, con il compito di supervisionare tutte le agenzie, 18 in tut-to (tra cui Fbi, Cia, Nsa), per un budget complessivo di 70 milioni di dollari. E a supportarle nella “rivoluzione” dello Stato profondo, fortemente voluta da Trump, ha individuato la temibile Pam Bondi, suo avvocato personale e ora procuratrice generale degli Stati Uniti.
Già in pochi mesi sono stati rimossi diversi alti ufficiali dai loro incarichi, tra cui il presidente del Joint chiets of staff, generale Charles Q. Brown Jr, il capo delle operazioni navali, ammiraglio Lisa Franchetti e il comandante della Guardia Costiera, ammiraglio Linda L. Fagan. Non finisce qui. Perché di recente è emersa la figura di Laura Loomer, influencer da 1,7 milioni di follower su X, che pur non avendo nessun ruolo ufficiale nell’amministrazione, entra ed esce in scioltezza dalla Casa Bianca, raccoglie informazioni per i suoi podcast, dispenda consigli e soprattutto consegna dossier sui “nemici interni”. Pare sia stata proprio lei ad aver consigliato a Trump in persona, la rimozione del capo della National Security Agency, il generale Timothy D. Haugh, il quale avrebbe tardato ad eliminare “i programmi sulla diversità” come gli era stato richiesto dal Segretario della Difesa Pete Hegseth. Eccole le potenti al tempo di Trump.
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