Molti la ricordano come l’estate dei “furbetti del quartierino”, ma fu molto più di un’impresa tentata da un gruppo di guasconi spregiudicati all’assalto del mondo della finanza. Fu un terremoto bancario, di portata almeno pari a quello di oggi, il cui punto più basso furono le dimissioni-rimozione di un governatore della Banca d’Italia, cosa mai accaduta nella storia del Paese, e l’incarcerazione di più d’uno dei protagonisti. Esattamente vent’anni fa, il 6 aprile 2005, la Banca Popolare di Lodi dava il via alle danze annunciando di avere messo insieme, con il via libera di Via Nazionale, il 10,82% di Banca Antonveneta.
È la prima scossa del sisma che avrà anche pesanti risvolti giudiziari. E che si salderà ad altri due terremoti finanziari, quello globale scatenato dal crac di Lehman Brothers e quello più locale della crisi innescata dai crediti deteriorati che ha mandato a gambe all’aria due importanti banche popolari venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca), la prima popolare toscana (Banca Etruria) e altre popolari del Centro Italia a cominciare da Cassa Marche. Ma non fu solo quello, perché alla fine l’intero sistema bancario venne ridisegnato.
Riavvolgiamo il nastro. Quel 6 aprile 2005 la Popolare di Lodi guidata da Giampiero Fiorani è impegnata a contrastare l’Opa lanciata da Abn Amro su Antonveneta e a respingere le accuse di agire di concerto con gli altri soci dell’istituto veneto (Unipol, Hopa, Deltaerre e Benetton) per far fallire l’offerta degli olandesi. La richiesta di chiarimenti da parte Consob arriva all’indomani dell’incontro tra Fiorani e l’allora governatore Antonio Fazio, che ha autorizzato l’istituto lodigiano a elevare la partecipazione al 15% mentre sul mercato circolano voci di acquisti di titoli da parte di soggetti correlati alla Lodi come l’immobiliarista Stefano Ricucci, patron di Magiste. A lui fa capo, infatti, almeno il 2% di Antonveneta e il 5% di Bnl, le due banche italiane sotto le mire dell’olandese Abn Amro e della spagnola Bbva. In quei giorni Ricucci finisce anche al centro del gossip per le imminenti nozze con l’attrice Anna Falchi che si celebreranno il 10 luglio a Villa Feltrinelli, sull’Argentario. Poche settimane dopo usciranno le intercettazioni che lo incastreranno, lui verrà arrestato e il matrimonio finirà a pezzi l’anno dopo. Memorabile una sua battuta («Ma che stiamo a fa’, i furbetti del quartierino?») per redarguire i compagni d’avventura che avrebbero voluto tacere dell’esistenza del concerto: la battuta darà il titolo a quella stagione finanziaria.
Il capitolo degli immobiliaristi scesi al fianco di Fiorani, il banchiere del bacio in fronte al governatore Fazio per il via libera al tentativo di difendere Antonveneta dagli olandesi di Abn Amro e Bnl dagli spagnoli del Bbva, resta tuttora controverso. Perché non vi furono solo le irregolarità commesse dalla brigata messa insieme da Fiorani, ma anche non poche anomalie nei comportamenti della Consob, della magistratura e di quella parte della Banca d’Italia che mal sopportava l’inquinamento dell’establishment da parte di non titolati. Sta di fatto che il tentativo fallisce proprio in virtù di una quantità abnorme di intercettazioni disposte dalle procure, dalle quali emergono le violazioni di legge che costringono Fiorani e la Unipol di Giovanni Consorte (a cui gli stessi immobiliaristi avevano ceduto le quote di controllo in Bnl) alla resa. Di lì a pochi mesi, il 19 dicembre, Fazio si dimetterà accusato di aver mostrato eccessiva compiacenza nei confronti dei “furbetti” e inizierà in Bankitalia l’era di Mario Draghi che poi sarà presidente della Bce e infine premier italiano.
Con Draghi il risiko diventa istituzionale, in risposta all’aggressione straniera. Perché nel mentre si snoda l’estate dei furbetti, per non finire vittime degli spagnoli del Banco Santander e dei francesi del Credit Agricole (la transalpina Bnp Paribas aveva da poco conquistato Bnl), Sanpaolo Imi e Banca Intesa si fondono dando vita nell’agosto 2006 alla prima banca italiana per dimensione. Subito dopo la spinta delle fusioni si estende al mondo delle popolari, con Popolare Bergamo che si unisce a Banca Lombarda, Popolare Verona alla Lodi reduce dall’era Fiorani. Ma soprattutto, a maggio 2007 si celebrano a Roma le nozze tra Unicredit e Capitalia, l’ex Banca di Roma guidata da Cesare Geronzi. Il ceo dell’istituto milanese, Alessandro Profumo, reduce dall’acquisto della tedesca Hvb rileva infatti la banca romana ormai troppo carica di problemi. L’8 novembre i riflettori si accendono sul blitz dell’allora ceo del Monte dei Paschi, Giuseppe Mussari, che acquista Antonveneta dal Santander per 9 miliardi tutta cassa: una somma enorme per i tempi, che però viene subito autorizzata dal governatore Draghi ricevendo plauso e benedizioni. Finirà al centro di un’inchiesta giudiziaria, dalla quale curiosamente viene lasciata fuori la Banca d’Italia, che farà affiorare i “grovigli armoniosi” tra finanza e politica diventando l’origine di tutti i mali da cui Mps oggi sembra finalmente liberata tanto da essere pronta a scalare l’Olimpo dell’alta finanza.
Si farebbe però torto alla storia se non ricordassimo che nel mentre si snodavano le vicende bancarie, Ricucci appoggiato dalla Lodi aveva avviato una scalata al gruppo Rcs, e quindi al Corriere della Sera, nell’idea che possedendo il principale quotidiano del Paese fosse più facile realizzare i propri progetti di conquista. Ma aveva fatto male i conti, perché anche qui l’establishment politico-finanziario si mosse come un sol uomo per spegnere da subito le sue ambizioni.
Oggi la Vigilanza bancaria solo in parte è in mano a Bankitalia, perché le decisioni cruciali si prendono a Francoforte, dove ha sede la Bce. A Roma c’è un governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni e siamo nuovamente in pieno risiko bancario. Vent’anni fa si voleva difendere l’italianità del nostro sistema finanziario, oggi la biodiversità che preserva il sostegno delle piccole e medie imprese. Perciò si dibatte sulla necessità di dare vita a un sistema su scala europea che però non faccia rimpiangere le banche dei territori e tuteli il risparmio degli italiani dalle ambizioni dei gruppi esteri. Un altro mondo. Eppure una parte del sistema è rimasto quello che nella primavera del 2005 spocchiosamente diceva: “Ricucci chi?”.
© Riproduzione riservata