I recenti dati Istat sul mercato del lavoro (disoccupazione al 5,9% ai minimi dal 2007 e tasso di occupazione record al 63%) dipingono un quadro di crescita che, tuttavia, non appare omogeneo tra le diverse fasce della popolazione. Se da un lato aumentano gli occupati, dall’altro emergono segnali che meritano attenzione: il boom dell’occupazione femminile, la frenata dei giovani adulti e la continua espansione del lavoro autonomo.
Donne protagoniste della ripresa occupazionale
Il dato più sorprendente riguarda le donne. A febbraio, il numero delle occupate è cresciuto di 84.000 unità, compensando ampiamente la diminuzione di 37.000 lavoratori uomini. Su base annua, l’occupazione femminile cresce a un ritmo quasi doppio rispetto a quella maschile (+3,1% contro +1,8%). Un’inversione di tendenza rispetto a gennaio 2025, quando era la componente maschile a trainare la ripresa. Questo dato potrebbe riflettere un cambiamento strutturale nel mercato del lavoro, con un maggior accesso delle donne a settori in espansione o a forme contrattuali più flessibili. Tuttavia, resta da capire la qualità di queste dinamiche.
Le dinamiche dell’occupazione giovanile
I dati sui giovani offrono un quadro misto. La fascia 15-24 anni vede una crescita di 21.000 occupati e un incremento del tasso di occupazione di 0,4 punti percentuali. Tuttavia, la fascia successiva, 25-34 anni, mostra segnali di difficoltà: 42.000 occupati in meno e un preoccupante aumento dell’inattività di 1,1 punti percentuali. Questo suggerisce che, se l’accesso al mercato del lavoro sembra migliorare per i più giovani, la stabilizzazione nella fase adulta rimane complessa. Un ulteriore elemento da considerare è l’impatto della precarietà. I contratti a tempo determinato, spesso associati ai più giovani, continuano a diminuire (-112.000 nell’ultimo anno), mentre gli occupati a tempo indeterminato crescono in modo più contenuto. Segnale di una stabilizzazione o di un mercato ancora troppo selettivo?
Contratti e nuovi equilibri del mercato
L’incremento di febbraio è stato trainato dai lavoratori autonomi (+34.000 unità su 47.000 nuovi posti totali), mentre i dipendenti sono cresciuti di appena 12.000 unità, di cui solo 3.000 a tempo indeterminato. Se osserviamo il quadro annuale, la crescita è guidata proprio dai contratti stabili (+538.000) e dagli autonomi (+141.000), mentre i contratti a termine calano drasticamente. Si assiste quindi a una polarizzazione: da un lato più stabilità, dall’altro una forte espansione del lavoro indipendente, spesso meno tutelato. Un fenomeno che potrebbe riflettere la scelta (o la necessità) di molti di reinventarsi al di fuori del lavoro subordinato tradizionale.
Governo Meloni: oltre un milione di posti di lavoro in più
Dal novembre 2022 a febbraio 2025, il numero di occupati in Italia è aumentato di oltre 1,095 milioni di unità, superando i 24,3 milioni. Un traguardo importante per il governo Meloni, che ha spesso rivendicato i risultati positivi delle politiche economiche e del lavoro adottate.
Seghezzi: “Il mercato del lavoro sta cambiando”
“È significativo che la quasi totalità dei nuovi occupati sia rappresentata da lavoratori over 50, un dato che è largamente spiegabile come conseguenza della Legge Fornero, con lavoratori che restano più a lungo nel mercato del lavoro aumentandone i numeri”, ha commentato Francesco Seghezzi, presidente di Adapt, sottolineando che “il mercato del lavoro sta cambiando, con un aumento significativo degli autonomi e una crescita contenuta dei contratti a tempo indeterminato”.
Il ruolo fondamentale della formazione
I dati certificano un mercato del lavoro in fermento, con numeri positivi in termini assoluti ma squilibri interni che non possono essere trascurati. Ad esempio, se da un lato il numero di disoccupati è sceso a 1,517 milioni, ai minimi dal 2007, dall’altro gli inattivi sono aumentati di 33.000 unità. Questo leggero incremento può essere letto come un segnale di mismatch tra domanda e offerta di lavoro: ci sono posizioni che restano scoperte mentre alcuni lavoratori faticano a reinserirsi. In questo scenario la formazione e la riqualificazione professionale diventano strumenti chiave per colmare il divario tra competenze richieste e disponibili, garantendo un accesso più equo e stabile al mondo del lavoro. Investire sulla formazione continua potrebbe essere la chiave per ridurre la disoccupazione latente e favorire una crescita ancora più sostenibile.
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