Continua la guerra tecnologica a distanza tra Usa e Cina per l’egemonia nel campo dell’intelligenza artificiale generativa. Una corsa velocissima e a ostacoli che, nel giro di pochi mesi, si è arricchita di nuovi e importanti attori. Dall’americana OpenAI, produttore di ChatGPT, che ha aperto le danze, fino ad arrivare alla cinese Deepseek, tanto per citarne alcuni. Peraltro, proprio nei giorni scorsi la società guidata da Sam Altman ha raggiunto un accordo con gli investitori per raccogliere 40 miliardi di dollari (di cui 30 solamente da Softbank, già azionista), in un nuovo round di finanziamenti che la valuta adesso 300 miliardi di dollari. Stima che posiziona OpenAI tra le più grandi aziende non quotate al mondo, insieme alla società aerospaziale SpaceX di Elon Musk (350 miliardi di dollari) e alla cinese ByteDance (oltre 400 miliardi di dollari), società madre di TikTok.
Gli altri modelli AI americani
OpenAI, che ha al suo fianco anche Microsoft, non è però l’unica azienda americana ad aver dato vita a un modello di intelligenza artificiale generativa. Oltre a lei, troviamo Google che ha recentemente lanciato Gemini 2.5 Pro, definito da Demis Hassabis, ceo di Google DeepMind, come “un modello all’avanguardia eccezionale”. Poi l’onnipresente Elon Musk che, dopo aver co-fondato e lasciato OpenAI, ha deciso di imbattersi in una nuova avventura, fondando nel 2023 la startup xAI. Da qui il lancio di Grok 3, presentato dallo stesso Musk come “il chatbot più intelligente sulla Terra”.
Una curiosità? Dieci dei quaranta miliardi di dollari raccolti nei giorni scorsi da OpenAI saranno versati solo a condizione che la società modifichi il proprio statuto da società senza scopo di lucro a società di capitali convenzionale. Un cambiamento di forma giuridica che è stato un punto di attrito tra alcuni dei co-fondatori di OpenAI, tra cui lo stesso Elon Musk, e gli investitori esistenti, che vogliono avere un ritorno sul loro investimento. Musk ha anche portato il gruppo in tribunale per impedirglielo, sostenendo che ciò lo porterebbe a deviare dalla sua missione originale. Nel tentativo di riprendere il controllo, il miliardario ha inoltre presentato un’offerta di 97,4 miliardi di dollari per riacquistare le attività detenute dall’organizzazione no-profit, proposta respinta dal consiglio di amministrazione di OpenAI.
Tornando agli altri modelli, anche Anthropic si è riservato un posto di rilievo con Claude 3.7 Sonnet, il modello di intelligenza artificiale più avanzato e “primo modello di ragionamento ibrido sul mercato”. Secondo gli sviluppatori quest’ultimo modello della famiglia Claude rappresenta un significativo passo avanti nelle capacità di comprensione e ragionamento delle AI conversazionali, distinguendosi per un approccio che privilegia non solo la potenza di elaborazione, ma anche la profondità di analisi e la qualità dell’interazione umano-macchina.
Infine, non possiamo non citare anche Meta. La società guidata dal miliardario Mark Zuckerberg ha rilasciato Llama 3.2, la cui caratteristica fondamentale è l’introduzione di modelli abilitati alla visione, rispettivamente con 11 miliardi e 90 miliardi di parametri. Llama 3.2 è alla base dell’ecosistema Meta AI che è già disponibile attraverso le funzioni di chat della famiglia di app di Meta, tra cui Facebook, Whatsapp, Instagram e Messenger.
L’ascesa della Cina
Per contrastare la potenza tecnologica americana, la Cina ha presentato negli ultimi mesi diversi modelli di intelligenza artificiale. Uno su tutti Deepseek che, “in poco tempo, è diventata l’app gratuita più scaricata negli Usa nell’App Store, superando ChatGPT”, secondo quanto rivelato in una nota da Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Un’ascesa giustificata principalmente da un budget decisamente inferiore: poco più di 5 milioni di dollari, una frazione rispetto alle stime dei colossi dell’IA, con costi fino a 100 milioni di dollari. Stime che hanno fatto dubitare la stessa OpenAI, che ha avviato dei controlli per capire se la startup cinese ha utilizzato i propri modelli di intelligenza artificiale per addestrare il suo nuovo modello open-source. Accuse che non hanno fermato però la corsa di Deepseek e della tecnologia cinese, che ha visto l’ingresso di un altro attore. Stiamo parlando della startup Zhipu AI che ha presentato il suo nuovo agente di intelligenza artificiale gratuito (AutoGLM Rumination) che, secondo quanto annunciato dal ceo Zhang Peng, è in grado di eseguire ricerche approfondite e di portare a termine attività più complesse come la pianificazione di viaggi o la redazione di rapporti di ricerca.
Nel dettaglio, per rispondere alle richieste degli utenti in modo rapido ed efficiente, il nuovo agente AI cinese è alimentato da due modelli messi a punto da Zhipu AI: il modello di ragionamento GLM-Z1-Air, in grado di assicurare le medesime prestazioni del competitor R1 di Deepseek, pur funzionando fino a otto volte più velocemente e richiedendo solo un trentesimo delle risorse informatiche, e il modello GLM-4-Air-0414. Risultati che hanno catturato l’attenzione del governo che solo nel mese di marzo ha concesso alla startup tre round consecutivi di finanziamento. L’investimento più recente è arrivato dalla città di Chengdu, che ha iniettato 300 milioni di yuan (41,5 milioni di dollari) nell’azienda.
In questa sfida poi non possiamo poi non citare anche Manus, il sistema AI sviluppato dalla startup cinese The Butterfly Effect, che è stato definito come la “prima intelligenza artificiale completamente autonoma”. È in grado, infatti, di eseguire compiti complessi senza supervisione umana, superando i limiti dei modelli attuali. Ma attenzione, mentre Manus chiederà agli utenti di pagare 199 dollari al mese per utilizzare il suo agente AI, Zhipu AI ha promesso che renderà disponibile AutoGML Automation gratuitamente.
E l’Europa?
Molto più attardata l’Europa che, ancora, non ha preso parte a questo scontro. D’altronde, come riferito dalla stessa presidente della Bce, Christine Lagarde, dal 2018 al 2023 nel vecchio continente sono stati investiti 33 miliardi di euro in aziende di intelligenza artificiale, praticamente un quarto rispetto agli “oltre 120 miliardi di euro delle omologhe aziende statunitensi”.
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