Nella guerra commerciale tra Washington e Pechino si apre un nuovo fronte: la Cina ha sospeso le esportazioni di terre rare pesanti e magneti, materiali indispensabili per settori ad alto valore tecnologico e strategico – dall’automotive all’aerospazio, dai semiconduttori alla difesa. Con una mossa che fa tremare le catene globali del valore, Pechino ha ordinato che tutte le spedizioni siano trattenute nei porti in attesa di un nuovo regime di licenze all’esportazione, lasciando intendere che alcune aziende, in particolare quelle militari statunitensi, potrebbero essere escluse permanentemente. Questa decisione, che arriva in risposta diretta all’aumento dei dazi voluto dal presidente Trump, ha colto di sorpresa mercati e governi: nonostante il blocco riguardi tutti i Paesi, è chiaro che si tratta di una leva geopolitica potente nelle mani della Cina, che controlla il 99% della produzione mondiale di terre rare pesanti e il 90% dei magneti ad alta potenza.
“La guerra commerciale avviata dal presidente Trump inizia a determinare una serie di conseguenze a cascata, che interessano le nostre imprese, in maniera diretta e indiretta – evidenzia l’avv. Sara Armella, fondatrice dello studio Armella & Associati – Veicoli elettrici, turbine eoliche, radar, laser, fibre ottiche necessitano delle terre rare per la loro fabbricazione. Nel dialogo avviato tra la Cina e l’Unione europea, finalizzato anche a creare un argine all’invasione di prodotti cinesi che non trovano più sbocco nel mercato statunitense, anche questo tema sarà di fondamentale rilievo”.
Il timore di una crisi imminente dei materiali fondamentali ha sollevato un coro di preoccupazioni nel mondo dell’impresa. Secondo Alberto Stecca, ceo di Silla Industries, azienda italiana che opera nel settore della mobilità elettrica, si tratta di una risposta coerente a un’escalation iniziata altrove. “Il blocco cinese delle esportazioni di terre rare – commenta – è presentato come una mossa aggressiva, ma in realtà è una risposta logica alle tensioni commerciali innescate dagli Stati Uniti, a partire dalla stagione dei dazi. È ironico che oggi si accusi la Cina di monopolio, quando proprio l’Occidente — per ragioni di costo e miopia strategica — ha contribuito a costruirlo negli ultimi vent’anni. Fino a oggi Pechino non ha abusato di questa posizione dominante, ma si trova ora costretta a rispondere in modo simmetrico. Chi ne paga il prezzo? Non solo gli USA, ma anche i loro alleati storici, come Europa, Canada e Messico. Nel frattempo, la Cina riaccende e rafforza i rapporti con economie regionali come Vietnam, Giappone, Corea, Malesia, dimostrando che può prosperare anche senza Washington. In questo scenario, l’approccio statunitense appare più ideologico che strategico”.
Ma se da un lato la contesa globale evidenzia dinamiche geopolitiche consolidate, dall’altro apre una riflessione sulla necessità di costruire una maggiore autonomia tecnologica e industriale. Lo sottolinea Moreno Scarchini, ceo di EnergRed, società di riferimento nella generazione energetica da fonte rinnovabile: “quanto sta accadendo con la ‘guerra dei dazi’ dovrebbe ricordarci che enormi miniere sono già presenti sul nostro territorio, e sono rappresentate dai rifiuti elettronici, da cui il nostro Paese, grazie alla propria eccellente tradizione di ricerca ed innovazione, è già in grado di estrarre materiali ad altissimo valore per la transizione energetica (dall’oro, al rame, al neodimio), in concentrazioni per tonnellata molto più alte che in natura. Ancora una volta un momento di ‘crisi’ può essere un’occasione per separare il ‘rumore’ dal ‘segnale’, ed illuminare la via per un futuro più sostenibile e industrialmente competitivo per il nostro continente intero”.
Lo conferma Giuliano Maddalena, direttore generale di SAFE, hub di consorzi per l’economia circolare: “le terre rare, così come altri materiali critici, sono già tra noi: contenuti nei dispositivi dismessi, nei piccoli elettrodomestici, nelle apparecchiature obsolete. Nel 2024, secondo il Centro di Coordinamento RAEE, l’Italia ha raccolto oltre 356.000 tonnellate di RAEE, con un incremento positivo del +2,5% rispetto all’anno precedente. Ma questa è solo una parte del potenziale: ancora troppi materiali sfuggono alla raccolta e finiscono fuori circuito, rendendo impossibile lo sviluppo di impianti industriali in grado di processare volumi significativi”.
Infine, l’impatto concreto della stretta cinese si manifesta nella quotidianità operativa delle aziende. A sottolinearlo è Daniele Civini, head of sales, Jaggaer Italy, attiva nelle soluzioni Sourc-to-Pay e nella collaborazione con i fornitori, secondo cui, “l’attuale escalation delle tensioni commerciali tra le principali economie mondiali, acuita dalla recente decisione della Cina di sospendere l’export di terre rare, sta mettendo sotto forte pressione le catene di fornitura globali. Per le aziende italiane, che operano in un contesto produttivo sempre più interdipendente, l’impatto è significativo: ritardi, interruzioni di fornitura rappresentano oggi rischi concreti per la continuità operativa”.
L’instabilità valutaria
Alle dinamiche strategiche e ambientali si intrecciano anche quelle finanziarie, spesso sottovalutate ma potenzialmente dirompenti. Michele Sansone, country manager di iBanFirst Italia, evidenzia come la guerra commerciale si giochi anche sul terreno valutario, con effetti rilevanti per l’export italiano: “nel contesto attuale di crescente tensione tra Stati Uniti e Cina, l’acuirsi della guerra commerciale sta accelerando una dinamica ancor più insidiosa per le imprese italiane: l’instabilità valutaria. Il recente annuncio di Pechino sul blocco dell’export di terre rare va letto non solo come una misura ritorsiva di natura strategica, ma anche come un segnale di rafforzamento della leva valutaria nel conflitto economico globale. Lo yuan, che risulta sottovalutato di oltre il 30% rispetto al dollaro secondo nostre stime, è oggetto di un utilizzo tattico da parte della banca centrale cinese, mentre l’amministrazione statunitense valuta ipotesi di svalutazione controllata del dollaro per compensare gli squilibri commerciali. In questo scenario, caratterizzato da elevata volatilità e da una progressiva erosione del ruolo del dollaro come valuta rifugio, le imprese esportatrici italiane si trovano esposte a rischi significativi in termini di margini operativi e pianificazione finanziaria. È fondamentale, pertanto, rafforzare le strategie di copertura sul rischio di cambio e adottare soluzioni di gestione valutaria dinamica, per preservare la competitività e assicurare la resilienza dell’export italiano in un contesto geopolitico in continua evoluzione”.
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