Panico? No grazie. Quando tutto appare nero e i grafici di Borsa sembrano impazziti la migliore terapia antipanico consiste nel fare un lungo respiro e affidarsi agli insegnamenti che arrivano dal passato . Abbandonare i mercati quando la tempesta impazza è una forte tentazione, ma è un potenziale autogol che azzoppa i ritorni di lungo periodo. Emblematico è quanto andato in scena il 9 aprile. Dopo oltre 14mila miliardi di dollari di valore azionario bruciato dalle Borse mondiali nelle cinque sedute successive all’annuncio dei dazi reciproci, la parziale retromarcia di Donald Trump con lo stop di 90 giorni (ad esclusione della Cina) ha prodotto a Wall Street una delle migliori giornate degli ultimi decenni. L’S&P 500 ha registrato un +10,8% intraday dai minimi ai massimi, la quarta più ampia nella storia recente. Chi era uscito dal mercato è rimasto a bocca asciutta . La storia insegna che i mercati rimbalzano prima che l’umore cambi e chi aspetta l’arrivo di segnali di conforto prima di investire spesso resta fuori dai giorni migliori. La cosiddetta ‘Fuga dalla Paura’ offre sì un viaggio più tranquillo «ma a un costo salatissimo in termini di performance. Chi ha seguito questa logica, negli ultimi 38 anni circa, ha guadagnato meno della metà rispetto a chi è rimasto investito», spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro. Scappare dai mercati non fa altro che tagliare le gambe al rendimento. La storia ultracentenaria dei mercati insegna che quello a cui stiamo assistendo non è nulla di nuovo. Le crisi arrivano e destabilizzano i corsi azionari. Ma nel medio-lungo periodo le Borse si sono sempre mostrate capaci di ritrovare la retta via. Nei periodi di alta tensione, come quello attuale, tirare i remi in barca può quindi rivelarsi controproducente in quanto a correzioni profonde hanno sempre fatto seguito importanti risalite.
Dal dopoguerra a oggi il mercato ribassista più lungo è stato quello post crack Lehman Brothers, tra il 2007 e il 2009, quando l’S&P 500 dilapidò ben il 57% del proprio valore. Ma a tale calo fece seguito una ripresa repentina con l’S&P 500 tornato già nel 2010 sopra ai livelli precedenti lo scoppio della crisi e l’avvio di quello che è stato il mercato Toro più lungo della storia, durato ben 11 anni. «Bisogna avere paura quando gli altri sono avidi e avere coraggio quando gli altri hanno paura», è una delle frasi più celebri del guru degli investimenti, Warren Buffett. L’Orso – il termine con cui viene ribattezzato il mercato ribassista in quanto gli orsi vanno in letargo – storicamente in media tiene banco poco meno di 10 mesi e i mercati impiegano 27 mesi per tornare al pareggio; di contro, il mercato rialzista medio dura più del triplo (973 giorni, ossia 2,7 anni). Pertanto, mentre i cali del mercato possono alimentare il panico tra i piccoli investitori, i responsabili investimenti e i consulenti finanziari suggeriscono di resistere agli alti e bassi degli indici proiettando lo sguardo al lungo termine. «Storicamente, i periodi di stress del mercato hanno offerto ricompense a lungo termine per gli investitori diversificati che mantengono la propria strategia o decidono di investire nuovi capitali», conferma Mark Haefele, chief investment officer di Ubs Global Wealth Management. Un importante lascito dal passato per gli investitori è che, non appena il cielo economico si schiarisce, i mercati tendono a rimbalzare con forza. Storicamente, dopo che i mercati hanno toccato il fondo, i rendimenti medi nei successivi 3, 6 e 12 mesi sono stati rispettivamente del 19%, 26% e 41% circa.
In Piazza Affari l’annuncio dei dazi reciproci (2 aprile) ha comportato un crollo del 15% circa del Ftse Mib nelle tre sedute successive. Un movimento molto veloce che riflette l’attesa di un rallentamento economico globale. Analizzando i cali passati a partire dalla bolla internet del 2000 in poi ci sono stati diversi casi di cali del mercato azionario italiano superiori al 15%. Negli ultimi due casi, Covid (2020) e guerra in Ucraina (2022), queste fasi sono state brevi e seguite da rapidi recuperi nei due mesi successivi. La discesa più violenta è stata invece quella del 2007-09 con un crollo del 71%, ma nei due mesi successivi al bottom (punto di minimo) il rimbalzo è stato di ben il 56%. In generale, quindi, più l’Orso graffia più la risalita successiva è vigorosa.
Che crisi sarà quella attuale è tutto da verificare. «Ogni crisi ha tratti distintivi differenti. L’aspetto interessante di questo momento è che scaturisce da un atto premeditato dell’amministrazione statunitense e dall’incertezza, che rimane uno dei fattori più negativi per gli investitori», argomenta Alberto Villa, responsabile Equity Research di Intermonte. Eventuali schiarite, come quella derivante dalla tregua di 90 giorni concessa da Trump, potrebbero ridimensionare non poco la portata della crisi. «Interventi risolutivi da parte della Fed e un’inversione della politica sui dazi – spiega Villa – potrebbero consentire un rapido e forte recupero dei mercati azionari globali». Non va dimenticato che dall’insediamento di Trump gli annunci di dazi, successive pause e rimodulazioni, sono stati molteplici. Questo non fa che alimentare l’incertezza di fondo. «Va ricordato che il presidente Trump ha bisogno di maggiori entrate per finanziare i tagli fiscali promessi. Sarebbe una sorpresa se l’annuncio del 9 aprile fosse davvero il ritorno del ‘buon senso’», ricorda Carsten Brzeski, responsabile macro globale di Ing.
Agli occhi degli investitori l’incubo maggiore è l’arrivo di una recessione. Nel 1966, l’economista premio Nobel Paul Samuelson disse scherzosamente che «gli indici di Wall Street hanno previsto nove delle ultime cinque recessioni». Ad esempio, al crollo del Lunedì Nero del 1987 non ha fatto seguito alcuna recessione. Pertanto, non tutti i declini della Borsa newyorkese sono sinonimo di recessione inevitabile e allo stesso tempo non tutte le recessioni producono cali del mercato azionario. Tuttavia, la storia mostra una forte correlazione tra discesa dei mercati e recessione. Dal 1950 ad oggi, gli Stati Uniti hanno sperimentato 10 recessioni e 7 sono state accompagnate da cali dell’S&P 500 (tra il 18% e il 55%). Le recessioni durano in genere una decina di mesi, causando un calo del mercato azionario di circa il 29% dal picco al minimo. È interessante notare che i periodi di recessione effettivi non sono di solito i più dannosi per gli investitori. In media, le azioni hanno guadagnato circa l’1% durante le recessioni. La maggior parte dei danni arriva infatti prima dell’inizio ufficiale delle recessioni, ossia nei mesi in cui i mercati anticipano la futura contrazione del Pil.
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