Il vero porto sicuro tra i titoli di Stato si chiama Bund. Nel panico dei mercati scatenato dalla guerra commerciale, gli investitori in cerca di riparo dalla volatilità ancora una volta hanno deciso di privilegiare il governativo tedesco. D’altronde la Germania è considerata il motore economico dell’Eurozona e il simbolo del rigore fiscale. E poco importa se il maxi piano di rilancio e di riarmo, approvato qualche settimana fa dal Bundestag, toglierà il freno al debito teutonico. Perché l’altro grande bene rifugio, vale a dire il Treasury americano, sta mostrando qualche crepa, finendo sotto il fuoco delle vendite sui timori di recessione.
«Con l’inflazione inferiore alle attese nell’Eurozona e la politica accomodante della Bce, rimaniamo positivi sui governativi europei e in particolare sui Bund», affermano da Candriam, riflettendo il sentiment del mercato.
Dubbi sui Treasury
L’avversione al rischio in generale favorisce gli acquisti sui titoli di Stato. Ma non tutti e non sempre. Dagli Stati Uniti, al Giappone, passando per l’Italia, i timori di una frenata dell’economia a causa della guerra commerciale ha scatenato le vendite anche sui bond governativi, facendo salire i rendimenti.
Che un cambiamento rispetto alla storia recente dei mercati obbligazionari sia in atto lo dimostra il recente movimento dei Treasury, considerati bene rifugio nel comparto del reddito fisso.
Il rialzo del rendimento sul decennale americano, così come sulle scadenze più lunghe, è anomalo e sintomo che il rischio Oltreoceano è salito. Una più probabile recessione della prima economia mondiale, accompagnato dal timore di una spirale inflazionistica. Ma quello che probabilmente preoccupa di più è il precario equilibrio fiscale degli Stati Uniti. E se la politica fiscale di Trump diventerà più espansiva per sostenere l’economia, le emissioni di Treasury aumenteranno, spingendo al rialzo i rendimenti a lungo termine.
Il Treasury ha perso quindi il suo status di bene rifugio? Non del tutto. «Continuiamo a sottopesare i Treasury a lungo termine a causa del persistente disavanzo statunitense e dell’inflazione di fondo», fa sapere BlackRock che nello stesso tempo però assegna una quota maggiore ai titoli di Stato statunitensi a breve termine. Treasury sì, quindi, purché con scadenze corte. Ma non solo. «In questo scenario ci piacciono i titoli americani legati all’inflazione, con scadenze lunghe, in area 2051 – indica Daniele Bivona, gestore di portafoglio di AcomeA Sgr, spiegando: «L’impatto immediato delle tariffe della nuova amministrazione Trump dovrebbe essere inflazionistico nel breve termine, ma nel medio periodo il rallentamento della crescita potrebbe portare la Fed a tagliare più quanto il mercato stia prezzando con impatto al ribasso sui tassi reali. Il posizionamento sulla parte lunga dei Tips potrebbe quindi offrire un rendimento positivo anche in scenari meno chiari».
Il re dei governativi
In questo panorama turbolento, a confermarsi come asset no-risk, ossia privo di rischio, è il Bund, che anche in questa occasione è riuscito a schivare la raffica di vendite, facendo meglio degli altri pari.
Compreso il Btp, il cui rendimento è invece salito. Certo, non si deve guardare solo alla situazione attuale, ma alle prospettive economiche e finanziarie sulle due sponde dell’oceano.
In quest’ottica, gli investitori devono valutare quali potrebbero essere gli impatti dei dazi annunciati dal presidente americano, Donald Trump, dell’aumento della spesa per la difesa in Europa, in un contesto in cui alcuni paesi, come la Francia, che fanno fatica a far quadrare i bilanci. Senza contare l’attuale fase di politica monetaria, in cui le banche centrali dovrebbero proseguire il taglio dei tassi in vista di una possibile recessione, anche se l’inflazione appiccicosa rischia di scompaginare i piani di Bce e Fed.
© Riproduzione riservata