L’economia italiana si muove in un contesto globale complesso, tra tensioni commerciali e margini di bilancio sempre più ristretti. Eppure, tra i segnali di rallentamento, emergono anche dati che mostrano una sorprendente capacità di resilienza e una rinnovata fiducia da parte dei mercati. Standard & Poor’s ha infatti migliorato il rating dell’Italia, alzandolo da BBB a BBB+, con outlook stabile. Un segnale importante che riflette la fiducia nella tenuta del sistema economico italiano, nonostante le sfide in corso.
Nel Documento di finanza pubblica (Dfp), appena trasmesso alle Camere, si prende atto che l’impatto delle misure protezionistiche statunitensi potrebbe ridurre la crescita del Pil nel 2025 allo 0,3%, rispetto allo 0,6% attualmente previsto. Ma secondo S&P, questo scenario più severo appare improbabile. Le previsioni dell’agenzia si basano sull’ipotesi che i dazi Usa rimangano al 10% – non al 20% come temuto – rendendo quindi l’impatto sull’economia italiana “gestibile”, anche grazie all’accelerazione degli investimenti pubblici e agli stimoli fiscali in Germania.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha accolto con soddisfazione il giudizio di S&P, sottolineando come la promozione sia un riconoscimento alla linea di “prudenza e responsabilità” adottata dal governo nella gestione dei conti pubblici.
Un elemento premiato dall’agenzia è la resilienza dell’export italiano, specialmente nel comparto dei beni di fascia alta. Secondo Bankitalia, la domanda per questi prodotti – destinati a consumatori meno sensibili ai rincari – dovrebbe reggere l’urto dei dazi. Anche nel caso di un calo del fatturato attorno all’1%, per la maggior parte delle imprese l’impatto sul margine operativo lordo non supererebbe il mezzo punto percentuale. Un segnale incoraggiante per il tessuto produttivo del Paese.
S&P evidenzia inoltre alcuni punti di forza strutturali dell’Italia: un’economia diversificata, un elevato tasso di risparmio interno e una posizione di creditore netto estero ormai consolidata – pari al 15% del Pil, rispetto al quasi pareggio pre-pandemia. Nonostante un debito pubblico netto ancora alto (atteso al 129% del Pil a fine 2024), l’agenzia prevede una sua stabilizzazione a partire dal 2028 grazie alla riduzione progressiva dei disavanzi di cassa.
Resta aperta la questione europea: Bruxelles per ora non intende attivare la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità, ritenendo prematuro valutare gli effetti recessivi dei dazi. Questo limita i margini di flessibilità per i governi nazionali, che devono continuare a camminare su un filo sottile tra rigore e sostegno alla crescita.
In questa cornice, il governo italiano conferma il suo impegno verso le politiche demografiche e familiari. Il Dfp prevede il rafforzamento di strumenti che incentivino la natalità e migliorino l’accesso ai servizi per la prima infanzia, considerati essenziali per il futuro del Paese.
Tuttavia, non mancano le criticità. Il programma Transizione 5.0, pensato per accompagnare le imprese nella doppia transizione digitale ed ecologica, ha visto finora un utilizzo molto limitato: appena 500 milioni di euro erogati, contro i 5,7 miliardi ancora disponibili entro metà 2026. Anche il nuovo concordato preventivo per le partite Iva, introdotto per semplificare il fisco e dare certezza ai contribuenti, ha registrato adesioni inferiori alle attese: solo il 13% dei potenziali interessati ha aderito.
Nel complesso, l’Italia resta in una fase di equilibrio delicato, ma non priva di segnali positivi. La promozione di S&P e la tenuta dell’export rappresentano due ancore importanti in un mare ancora agitato. Il messaggio che arriva da Roma, Bruxelles e New York è chiaro: prudenza sì, ma senza cedere al pessimismo.
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