I dazi di Trump possono far schizzare i prezzi degli iPhone per gli americani. L’obiettivo a lungo termine del presidente è quello di riportare la produzione high-tech negli Stati Uniti, inclusa la gallina dalle uova d’oro di Apple.
Il problema è che gli iPhone contengono un mosaico di componenti sofisticati, provenienti da 40 Paesi diversi e assemblati principalmente in Cina, dove la produzione di elettronica è stata perfezionata nel corso di una generazione. L’America non ha stabilimenti che assomigliano a quelli cinesi, né dispone di manodopera qualificata per assemblare i telefoni su quella scala. Il Wall Street Journal ha così riunito un gruppo di esperti di produzione e tecnologia per scoprire quanto sarebbe difficile per Apple trasferire interamente la produzione di iPhone negli Stati Uniti. Il verdetto, raggiunto all’unanimità, è stato lapidario: è più facile insegnare a un’aquila calva come usare un cacciavite.
L’unica strada realistica per l’assemblaggio di iPhone negli Stati Uniti è ricostruire la propria catena di approvvigionamento spostando parte della produzione dei componenti chiave nella più ampia regione nordamericana, con alcuni componenti realizzati in Messico e Canada, forse persino nell’Europa occidentale. Se un’attività di assemblaggio negli Stati Uniti dovesse iniziare nei prossimi tre-cinque anni, tuttavia, dipenderebbe anche dai componenti provenienti dall’Asia.
Poi c’è il tema dei soldi: Trump ha sottolineato la disponibilità di Apple a spendere 500 miliardi di dollari per la produzione negli Stati Uniti. Ma l’impegno dell’azienda riguarda principalmente una fabbrica a Houston destinata a produrre server di intelligenza artificiale, non gli iPhone. Apple dovrebbe quindi spendere di più per sviluppare l’ecosistema produttivo per un iPhone tutto americano. E anche se lo facesse, l’azienda sarebbe in grado di mantenere la qualità degli iPhone vendendoli ai prezzi attuali? “No”, rispondono gli esperti. Almeno all’inizio. L’America dovrebbe recuperare decenni di esperienza che il Giappone ha con le fotocamere e la Corea del Sud con i display, ad esempio. Per non parlare dei chip. TSMC, il più grande produttore di chip al mondo e partner di Apple, ha promesso di costruire diversi impianti in Arizona. Ma per ora i chip più avanzati dell’azienda, compresi quelli di Apple, possono essere prodotti solo a Taiwan. Nel 2017, durante la prima amministrazione Trump, Foxconn annunciò l’intenzione di costruire schermi TV in Wisconsin, in uno stabilimento da 13.000 dipendenti. L’azienda ha drasticamente ridotto il suo impegno, creando solo circa 1.000 posti di lavoro. I costi di produzione si sono rivelati da quattro a cinque volte più alti rispetto alla Cina.
Ma anche se i finanziamenti non fossero un problema gli esperti consultati dal Wsj stimano che ci vorrebbero dai tre ai cinque anni per raggiungere la scala e la qualità necessarie. Non sarebbe impossibile acquistare le attrezzature di produzione necessarie, ma trovare abbastanza personale in grado di gestirle potrebbe esserlo, afferma Tinglong Dai, professore di economia alla Johns Hopkins University, che studia le catene di approvvigionamento globali. “Abbiamo una grave carenza di manodopera”, afferma, “e abbiamo perso l’arte della produzione su larga scala”. Foxconn, che assembla gli iPhone, ha dichiarato di impiegare 300.000 lavoratori a Zhengzhou, in Cina, nota anche come “iPhone City”.
Poi c’è il divario di competenze. In un’intervista del 2017 a Fortune, il ceo di Apple Tim Cook aveva dichiarato che l’incentivo a costruire in Cina non era la manodopera a basso costo. “I prodotti che realizziamo richiedono attrezzature davvero avanzate”, ha affermato, accennando alle sofisticate attrezzature per la produzione di iPhone. “Negli Stati Uniti, si potrebbe tenere una riunione di ingegneri addetti alle attrezzature, e non sono sicuro che potremmo riempire la sala. In Cina, si potrebbero riempire diversi campi da calcio”.
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