Il crollo di inizio aprile del Ftse-Mib, insieme con quello degli altri principali indici borsistici mondiali, è stato provocato dai dazi che il presidente Donald Trump ha introdotto sulle importazioni Usa. Ma a distanza di quasi un mese dall’improvviso calo, i listini hanno recuperato buona parte del terreno perduto. Dopo lo choc iniziale, infatti, i mercati hanno progressivamente recuperato terreno, grazie da un lato al rinvio nel tempo del provvedimento relativamente ad alcune merci, e dall’altro all’azione diplomatica dei Paesi partner degli States, che ha portato ad aggiustamenti selettivi e a modifiche di alcune aliquote. Lo scenario è ancora fluido e non si può certo dire che la crisi si stia avviando verso il suo superamento. Tuttavia la reazione dei mercati azionari rappresenta un segnale da non sottovalutare. Per quanto riguarda Piazza Affari, il Ftse Mib è passato dai 37.070 punti del 3 aprile, giorno successivo all’annuncio della Casa Bianca, ai 32.854 punti di lunedì 7 aprile. Dopo un piccolo rimbalzo, il nuovo minimo (a quota 32.730) è stato registrato mercoledì 9 aprile. Da allora la ripresa è stata lenta ma costante, riportandosi sopra quota 36mila.
Entrando più nel dettaglio, e passando dagli indici ai singoli titoli, quelli che resistono meglio ai nuovi dazi vanno ricercati tra le azioni di società con una forte presenza globale, in grado di bilanciare parzialmente l’export negli Usa diventato più costoso. Difesa, utility e, in parte, la biofarmaceutica sono in genere i settori da privilegiare. L’aumento degli investimenti militari da parte dei Paesi europei rappresenta poi un’ulteriore opportunità, così come il business delle società di pubblica utilità, i cui prodotti (energia, acqua e gas) sono regolamentati e quindi hanno una domanda stabile. Un po’ meno sicura è la biofarmaceutica, anch’essa parzialmente colpita dai dazi. Tutte le altre aziende esportatrici saranno invece costrette ad aumentare i prezzi, con la conseguenza da un lato di innescare l’inflazione e dall’altro il rischio di frenare la domanda.
Una delle prime a ritoccare i listini è stata per esempio la Ferrari, che ha già annunciato una revisione della propria politica commerciale, con un aumento fino al 10% per alcuni modelli destinati all’export Oltreoceano. Non subiranno invece variazioni gli ordini inoltrati prima del 2 aprile 2025, così come quelli relativi alle famiglie di modelli Ferrari 296, SF90 e Roma, indipendentemente dalla data di importazione. La casa di Maranello prevede comunque di dover rivedere i propri margini di redditività a causa dell’effetto dazi. E la ricaduta sulle quotazioni si è già in parte verificata.
Ma quali sono gli altri titoli quotati a Piazza Affari destinati a soffrire per i dazi di Trump? Ovviamente quelli di società che esportano negli Usa (e c’è anche l’aggravante della debolezza del dollaro) ma esiste anche una certa differenza tra quelle maggiormente esposte su quel mercato e quelle che invece sono in grado di assorbire il danno grazie a una più equilibrata diversificazione delle proprie esportazioni. Ecco, di seguito, una selezione di titoli quotati a Piazza Affari che potrebbero subire ulteriormente l’effetto dazi (in qualche caso la deriva è già iniziata ed è tuttora in corso).
Eni
Mercoledì 2 aprile il titolo Eni, il cui valore è legato tradizionalmente all’andamento dei prezzi del greggio, ha chiuso a 14,307 euro, ma già due settimane più tardi (il 18 aprile) la quotazione era scesa a 12,272 euro, mentre martedì 22 aprile ha segnato in chiusura di contrattazioni 12,4 euro. La società è controllata di fatto dallo Stato italiano. La quota di maggioranza relativa (il 29,751%) è posseduta dalla Cassa Depositi e Prestiti, mentre il Ministero dell’Economia detiene il 2,084% del capitale. Le azioni proprie in portafoglio rappresentano il 2,91%. Il resto è flottante sul mercato e comprende anche le quote di numerosi investitori istituzionali.
Stellantis
Dai 10,192 euro di mercoledì 2 aprile, il titolo del colosso automobilistico italo-francese è sceso ai 7,712 euro di martedì 22 aprile, passando attraverso la chiusura a 8,291 euro del venerdì precedente. Va detto tuttavia che l’impatto dei dazi si è aggiunto, aggravandolo, a un trend discendente iniziato fin dal 20 marzo scorso, quando da 26,66 euro la quotazione è diminuita costantemente quasi senza soluzione di continuità.
Tenaris
Il titolo della società che produce tubi per l’industria petrolifera valeva 18,13 euro il 2 aprile e 14,54 euro il 22 aprile. Anche in questo caso vale quanto detto riguardo all’Eni: il prezzo del titolo è in gran parte condizionato dalle oscillazioni della quotazione del greggio.
Prysmian
La società, specializzata nella produzione di cavi per applicazioni nel settore dell’energia e delle telecomunicazioni e di fibre ottiche è presente in Nord America con 23 stabilimenti. Dai 50,64 euro del 2 aprile il prezzo dell’azione Prysmian è passato a 44,91 euro del 18 aprile e ai 42,65 euro di martedì 22 aprile. Il titolo ha costantemente perso terreno a partire da gennaio, salvo qualche rimbalzo di natura prettamente tecnica. Da mercoledì 9 aprile, giorno in cui la quotazione era scesa a 40,65 euro, è iniziato un lento recupero, inframmezzato da qualche brevissima interruzione.
Mediobanca
Il titolo della banca d’affari, nonostante il coinvolgimento diretto nel cosiddetto risiko bancario di cui rappresenta il vero oggetto del contendere, è sceso dai 17,485 euro del 2 aprile ai 15,475 euro di venerdì 18 aprile, mentre il 22 aprile, alla riapertura dei mercati dopo il lungo weekend pasquale, ha chiuso a 15,74 euro.
Leonardo
A scendere di meno sono stati invece i prezzi di Diasorin, Campari, Snam e Terna, il cui andamento è anch’esso influenzato dalla debolezza del dollaro, visti gli stretti rapporti economici che intercorrono tra queste società italiane e operatori statunitensi. Diverso invece è il caso di Leonardo, la blue-chip italiana leader nel mercato mondiale della Difesa. Il titolo, che appartiene al paniere del Ftse Mib, ha beneficiato di un lungo periodo di rialzi, iniziato a gennaio di quest’anno e con una parziale interruzione ai primi di aprile, durata appena una settimana. Secondo l’analisi tecnica di Teleborsa, rilevato che «la volatilità giornaliera è molto elevata, indicativa di una maggiore rischiosità», il quadro tecnico di breve periodo «mostra un’accelerazione al rialzo della curva con target individuato a 46,85 euro. Rischio di discesa fino a 42,91 che non pregiudicherà la buona salute del trend corrente ma che rappresenta una correzione temporanea. Le attese sono per un’estensione della trendline rialzista verso quota 50,79». Quanto alle valutazioni delle principali case d’affari, la più recente è quella di Citigroup, che il 4 aprile scorso ha giudicato ‘neutral’ il titolo, alzando però il target price a 48,44 euro.
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