La ripartenza nucleare dell’Italia avrebbe tutte le carte in regola per dare la scossa al sistema energetico e alle bollette degli italiani. Ma l’ostruzionismo politico e la concorrenza tra i player in campo potrebbe comprometterne l’accelerazione tecnologica e industriale. La pietra dello scandalo riguarda il dossier Newcleo, una delle più promettenti realtà atomiche, finita all’improvviso al centro di una serie di veti incrociati che stanno bloccando lo strategico ingresso dello Stato italiano nel suo capitale. Ingresso annunciato e poi parzialmente ritrattato. Per quale ragione?
I ministri dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, e delle Imprese, Adolfo Urso, vogliono a tutti i costi aggiungere la tecnologia Newcleo alla potenza di fuoco del nuovo nucleare italiano. Ma c’è chi dice «no» rischiando di favorire, in primis, lo Stato francese che secondo indiscrezioni raccolte da Moneta, sarebbe «a un passo dall’ingresso nella compagine azionaria della startup, così come la Slovacchia e gli Emirati Arabi, che studiano una partecipazione», spiega una fonte attiva nel settore.
Ma perché tutti vogliono Newcleo? E chi si oppone al suo ingresso di diritto tra i protagonisti del nucleare italiano? Il gruppo guidato da Stefano Buono ha una tecnologia peculiare, diversa da quelle attualmente in commercio perché sviluppa piccoli reattori modulari refrigerati con piombo fuso e alimentati con combustibile riprocessato dagli scarti: il cambiamento è sia nella taglia che nella generazione (quarta, anziché terza avanzata). Il vantaggio dei piccoli reattori modulari è che, in virtù delle dimensioni ridotte e della struttura modulare, dovrebbero avere costi e tempi di produzione e assemblaggio inferiori rispetto agli impianti tradizionali.
In questo gruppo hanno creduto più di 700 azionisti, il 90% italiani: da Exor ad Azimut, da Ersel a Kairos, dal fondo Indaco a Banca Patrimoni Sella, passando per i Malacalza, Paolo Merloni di Ariston, il banker Claudio Costamagna, i Petrone, i Roveda, i Bormioli e i Colussi.
A voler regalare la tecnologia italiana a Parigi e Abu Dhabi è invece il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che ha esplicitamente dichiarato «di non comprendere perché Roma debba investire in questo player privato e non nella newco pubblica»: la nuova società composta da Enel, Ansaldo Energia e Leonardo per lo studio dei piccoli reattori. Ma l’esternazione politica di Salvini è solo uno dei tanti veti che in questo momento bloccano l’accordo. Secondo quanto ricostruito da Moneta, anche «i player nella nuova jv non vedrebbero di buon occhio la concorrenza di Newcleo e in particolare di Ansaldo Energia (che ha in pancia Ansaldo Nucleare) si sarebbe messa di traverso bloccando (per ora) l’investimento», spiega una fonte. Non solo. Newcleo avrebbe potuto far parte della newco a tre ideata dal governo, ma per le stesse ragioni, sarebbe stata messa alla porta.
Eppure il gruppo di Buono non è un’isola nel deserto e in Italia ha stretto accordi anche con la stessa Enel, con Saipem e con Danieli relativi – rispettivamente – alla collaborazione sui progetti nucleari di quarta generazione, all’integrazione dei reattori modulari nelle piattaforme petrolifere offshore e alla produzione di acciaio verde. Inoltre, sarebbe stata presa in considerazione una possibile futura collaborazione con l’Eni che seppure impegnata Oltreoceano con la fusione potrebbe – secondo indiscrezioni – essere interessata a progetti che riguardano il “carburante nucleare”, ovvero il Mox. D’altra parte, Eni con Agip Nucleare produceva già decenni fa combustibile nucleare. Insomma, lo spazio d’azione non mancherebbe ma a Roma vincerà Davide o Golia? Il tempo dirà.
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