La strada per il negoziato tra Russia e Ucraina si è aperta. Un piano di pace in più tappe sul quale Kiev si è detta «al 90% d’accordo» e anche Putin sembra essere questa volta interessato. Una de-escalation che potrebbe porre fine a un’insopportabile carneficina, oltre che aprire nuove prospettive economiche per l’Unione Europea e, in particolare, per il nostro Paese.
Potrebbero infatti riprendere le esportazioni agroalimentari Made in Italy in Russia che hanno già perso 2,1 miliardi negli ultimi 10 anni e mezzo a causa dell’embargo deciso da Putin con il decreto n. 778 del 7 agosto 2014 e da allora sempre prorogato.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio Coldiretti, prima dell’embargo le esportazioni dei nostri prodotti agroalimentari interessati dalla chiusura delle frontiere valevano circa 200 milioni all’anno e sono state azzerate con il Decreto russo. È stato infatti sancito il divieto di ingresso per un’importante lista di prodotti che comprende frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce, provenienti da Ue, Usa, Canada, Norvegia ed Australia. Nella lista nera, dal Parmigiano Reggiano al Grana Padano, dal prosciutto di Parma a quello San Daniele, ma anche le mele verdi Granny Smith. Salvi invece i vini e gli spumanti.
Al danno diretto si è aggiunta anche la beffa della diffusione sul mercato russo di prodotti di imitazione realizzati in Paesi non colpiti dall’embargo, come parmesan, scamorza, mozzarella, provoletta, mascarpone e ricotta Made in Bielorussia, ma anche salame Milano e gorgonzola di produzione Svizzera. Senza dimenticare il reggianito prodotto nei Paesi del Mercosur, come Brasile o Argentina, con i quali l’Ue sta negoziando un accordo di libero scambio che di fatto “legalizza” gran parte di questi prodotti di imitazione. La produzione di falso Made in Italy ha è esplosa in Russia.
In molti territori, dagli Urali alla regione di Sverdlovsk, sono sorte fabbriche specializzate nella produzione di falsi formaggi e salumi italiani. Si tratta di impianti per la lavorazione del latte e della carne per soddisfare la richiesta di formaggi duri e molli, così come di salumi che un tempo era assicurata dalle aziende agroalimentari italiane. I russi Pekkorino, Montazio e la ricotta vengono, per esempio, prodotti nel territorio di Stavropol e sul sito dei produttori si assicura anche che il Russian Parmesan è un’alternativa al Parmigiano-Reggiano, è fatto con latte pastorizzato, stagiona 12 mesi e ha una consistenza dura molto simile e un gusto e un aroma intensi. Ma sul mercato di Mosca si trovano anche mascarpone, robiola Made in Russia, diversi tipi di salame Milano, di mozzarelle “ciliegine”, di scamorze, insalata toscana e pizze con richiami espliciti all’Italia.
Un fenomeno che ha colpito anche i ristoranti italiani ancora presenti in Russia dove i prodotti alimentari originali sono stati sostituiti con quelli taroccati di bassa qualità. In caso del superamento dell’embargo non sarà dunque facile recuperare gli spazi di mercato ma a far ben sperare è il grande amore del popolo russo per la “tavola” tricolore. Il 2024 ha infatti fatto segnare il record storico per le esportazioni in Russia di vino e spumante Made in Italy che hanno raggiunto un valore di 231 milioni di euro, in aumento del 46% rispetto all’anno precedente. Più del doppio se paragonato a 10 anni fa, ma anche il maggior tasso di crescita delle vendite registrato dal vino italiano nel 2024 nei primi dieci mercati di destinazione.
A essere preferiti sono gli spumanti che hanno raggiunto nel 2024 il valore all’export di 122 milioni di euro (+47%) e tra questi il Prosecco con 73 milioni in aumento del 43%. La riapertura delle frontiere della Russia potrebbe contribuire a ridurre le tensioni sul piano commerciale provocate dalla minaccia dei dazi statunitensi in una situazione in cui nel primo bimestre del 2025 è stato registrato un nuovo record dell’export agroalimentare nazionale che è cresciuto del 4,9% anche se rimane concentrato soprattutto nell’Uepea per il 55% e negli Stati Uniti per ben il 13%.
Le prospettive di pace potrebbero dunque favorire un allentamento delle sanzioni nei confronti della Russia da parte dell’Ue che ha presentato, peraltro, una proposta che prevede limitazioni alle importazioni, oltre che su alcuni prodotti agricoli, anche sui fertilizzanti in arrivo dalla Federazione Russa e dalla Repubblica di Bielorussia. Si tratta di un provvedimento che per i fertilizzanti provocherà un ulteriore aumento del prezzo rispetto a quanto già registrato nell’ultimo periodo, considerato che l’Ue è fortemente dipendente dal mercato estero e si rifornisce, tradizionalmente, da un gruppo ridotto di fornitori, tra cui troviamo proprio i due Paesi oggetto del provvedimento.
«Non possiamo accettare – affermano Coldiretti e Filiera Italia – un ulteriore aumento dei costi che vada a penalizzare le nostre imprese rispetto a fattori di produzioni di cui l’Europa ci ha reso dipendenti da paesi terzi». La fine della guerra è certamente la priorità assoluta e secondo il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, «è necessario che nelle trattative di una possibile pace sia posta tra le prime questioni il superamento delle sanzioni alla Russia che per l’Italia hanno provocato la chiusura di un mercato di grande interesse». «Inaccettabile – aggiunge Luigi Scordamaglia ad di Filiera Italia – che ancora una volta a pagare il conto siano gli agricoltori e quindi la filiera agroalimentare europea.
L’aumento dei costi di produzione andrà a colpire principalmente il settore cerealicolo, già in grande difficoltà». A oggi la Russia è il principale esportatore al mondo di urea (il più diffuso fertilizzante azotato), grazie alla sua elevata capacità produttiva derivante dalla disponibilità di materie prime necessarie alla sua produzione e ai minori vincoli ambientali. L’attuale capacità dell’Ue di produrre fertilizzanti non è infatti in grado, a oggi, di coprire la domanda interna.
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