L’attacco frontale del presidente americano Donald Trump di imporre un dazio del 20% su tutti i prodotti europei rischia di distruggere una delle colonne portanti della storia, della cultura e dell’economia italiana ed europea: il settore agroalimentare. Comportando, secondo le stime di Coldiretti, un effetto domino su più direzioni: un rincaro da 1,6 miliardi per i consumatori americani, un calo delle vendite che danneggerà le imprese italiane, e un incremento dell’italian sounding, quel fenomeno che consiste nella vendita di prodotti che sembrano italiani, ma non lo sono.
Al calo delle vendite, sottolinea Coldiretti, va poi aggiunto il danno in termini di deprezzamento delle produzioni, da calcolare filiera per filiera, legato all’eccesso di offerta senza sbocchi in altri mercati.
Una nube scura e assassina che presidierà anche la 57esima edizione del Vinitaly, la fiera internazionale del vino che andrà in scena dal 6 al 9 aprile a Verona. Evento che, ora più che mai, dovrà riunirsi intorno a due sentimenti comuni: unione e buon senso. “Non possiamo accettare una decisione del genere. È una mazzata per l’intero settore”, dice Dominga Cotarella, membro di giunta di Coldiretti, nonché presidente dell’associazione Terranostra e ad di Famiglia Cotarella, azienda vitivinicola situata nel comune umbro di Montecchio che gestisce insieme alle cugine Marta ed Enrica.
I numeri del vino
Il settore vitivinicolo europeo conta 3,2 milioni di ettari, 2,5 milioni di aziende e oltre 3 milioni di posti di lavoro diretti. Numeri dettati dall’incidenza di Italia, Francia e Spagna che, insieme, sono responsabili del 50% della produzione globale.
Si tratta, in riferimento al vino italiano, di circa 13,5 miliardi di euro di fatturato al 2024, di cui 8,1 miliardi di euro dettati dall’export. Un’incidenza di oltre il 10% sul valore dell’export di tutto il settore agroalimentare nazionale, che ha sfondato i 70 miliardi di euro. Un record dettato anche dalla spinta fatta registrare dal mercato americano, che in dieci anni ha aumentato la sua quota del 150%. Arrivando a rappresentare, guardando solo al vino, il 24% delle nostre spedizioni: 2 miliardi di euro. Quota che adesso rischia di essere compromessa, comportando una perdita di circa un miliardo di euro per il nostro export e danneggiando a cascata l’intero settore vitivinicolo italiano.
Il risiko non è la soluzione
Anche se l’Italia vanta 647mila ettari di vigneti (di cui 25mila biologici), 800mila occupati e 240mila aziende, «solo 27 superano i 100 milioni di euro di fatturato, mentre 91 tra i 10 e 100 milioni», sottolinea Cotarella, che pone quindi l’accento sulla necessità di far squadra pur di non perdere una fetta importante di tutte quelle pmi che “«”fanno fatica a sostenere i costi della comunicazione e della distribuzione”.
Questo non significa però affidarsi al tanto abusato “risiko”, ma «essere uniti nel difendere il nostro settore, prendere continuamente esempio dalle storie di chi ce l’ha fatta, avere la lucidità di investire nella ricerca, nelle competenze e imparare a muoversi con velocità. Oggi, infatti, è il pesce veloce che mangia il pesce lento. Non il più grande o il più piccolo. E questo vale per tutti, perché le sfide da affrontare sono tante, non solo i dazi”.
Le altre sfide
Una delle grandi sfide che deve affrontare il settore è il cambiamento climatico. Secondo uno studio di Nature reviews earth & environment se il mondo superasse i due gradi di riscaldamento rispetto all’età preindustriale fino al 70% delle regioni vinicole rischierebbe di non essere più idoneo alla produzione di vino. Poi troviamo le recenti modifiche al nuovo Codice della Strada, “tutta la comunicazione di demonizzazione del vino” e l’importanza di inseguire le nuove richieste dei consumatori, sempre più consapevoli ed esigenti. Infatti, “se negli anni ‘90 si richiedevano vini corposi e con un alto grado alcolico, adesso si punta sulla grazia, sull’intensità. In sintesi, un vino che abbia carattere, che lasci un segno e che rispetti il vitigno e il suo settore”.
Una sfida, quest’ultima, che si sta configurando come una grande opportunità. Ne è un esempio l’ascesa del termine degustazione, che ha preso il sopravvento nei nostri ristoranti e nelle nostre cantine. Diventate ormai luoghi sacri della «nostra identità culturale e paesaggistica, in quanto ci permettono di raccontare il paese Italia in tutto il mondo». D’altronde, insiste Cotarella, “non è un caso se la prima motivazione che spinge i turisti a visitare il nostro paese è proprio la sua bellezza enogastronomica”.
Tema che ha riportato in auge il profondo legame tra agricoltura e turismo, trasformando l’agricoltore da produttore a imprenditore e promotore della bellezza del paese e che ha dato vita al concetto europeo di “agricoltura multifunzionale”, settore che in Italia ha un valore di 15 miliardi di euro. “Oggi siamo convinti che le aree rurali non siano soltanto luoghi di produzione, ma di incontro, di crescita e di formazione. Un cambiamento di paradigma che ha portato al dialogo la città e la campagna. Due luoghi che, pur mantenendo la propria distintività, devono seguire questo progetto unico, chiosa Cotarella che, pensando ai vini prodotti dalla sua azienda, non riesce a non scegliere il Montiano, frutto dell’intuizione di suo padre Riccardo. “È stata una scommessa e oggi, invece, è uno dei Merlot più conosciuti al mondo, oltre che un simbolo del nostro territorio”.
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