Un mancato Chopin e un quasi Sinner. Bernard Arnault non è riuscito a fare delle sue più grandi passioni – il pianoforte e il tennis – la professione della vita, ma come lo sportivo italiano ha inanellato una serie di record e successi che oggi lo incoronano come l’imprenditore più ricco di Francia e d’Europa e il sesto a livello mondiale, nonostante il suo patrimonio sia recentemente sceso a 151,1 miliardi di dollari (secondo le stime di Forbes al 23 aprile).
Riservato, glaciale, visionario, stacanovista, è stato spesso avvistato nei suoi negozi per controllarne l’allure. In generale, non le ha mai mandate a dire, e con la sua voce rauca si è tolto, nel tempo, più di un sassolino dalla scarpa, soprattutto con l’età che avanza: oggi ha 76 anni essendo nato a Roubaix il 5 marzo 1949. Celebre l’attacco qualche mese fa alla tassazione francese con la minaccia di spostare la produzione negli Stati Uniti (quando ancora i dazi erano solo nella mente di Trump) e che oggi potrebbe anche essere un’alternativa sul tavolo del suo gruppo.
Il ragazzino indisciplinato: la storia di Bernard Arnault
«Devi essere diffidente nei confronti della razionalità diretta negli affari, tanto quanto di un approccio unicamente viscerale», ha sempre detto (astutamente criptico) a chi cercava di carpire i segreti del suo impero. Figlio di un industriale francese, Arnault racconta di essere stato «un ragazzino dissipè, molto indisciplinato», ma che il padre gli ha trasmesso in toto «il senso del business».
Nel 1971 entra a far parte dell’azienda familiare e convince il padre a vendere le attività edilizie per riconvertire la società alla promozione immobiliare. Con il nome commerciale di Férinel, la nuova società si specializza in appartamenti turistici con lo slogan «Férinel, propriétaire à la mer». Dopo l’elezione di Francois Mitterrand alla presidenza della Repubblica, nel maggio 1981, sente aria di “caccia al ricco” ed emigra negli Stati Uniti, dove diviene amico di Donald Trump, tanto da presenziare oltre quarant’anni dopo – nel 2024 – alla cerimonia di investitura a Washington.
Oltreoceano fonda Férinel Inc, salvo poi ritornare in patria nel giro di due anni. Tre anni più tardi, con l’appoggio di Banque Lazard e di Antoine Bernheim (che sarà presidente delle Generali), Arnault acquisisce Financière Agache e il gruppo Boussac che possiede anche Christian Dior, suo vero obiettivo. Un tassista, in America, lo aveva ispirato dicendogli che «della Francia non conosceva il presidente, ma Dior».
Nel 1989 riunisce le attività all’interno della holding Christian Dior SA dopo aver lanciato un’offerta su Louis Vuitton e aver integrato Moet Hennessy dando vita al colosso del lusso Lvmh. Da qui in avanti si susseguiranno acquisizioni su acquisizioni: Givenchy ,Celine, Kenzo, Sephora, Fendi, TAG Heuer, Bulgari, Tiffany. I suoi brand luxury vanno dalla moda, alla pelletteria passando per i migliori champagne e gli orologi di fascia altissima.
Sposato due volte, la seconda proprio con una pianista, Arnault usa l’iPhone, legge in primis Le Parisien e Les Échos (di cui è editore) e ama guidare (in pista) la numero uno del suo parco macchine, la Ferrari 599Gto. A raccogliere la sua eredità finanziaria e imprenditoriale saranno cinque figli, tutti già con un ruolo attivo nella galassia del gruppo: la primogenita Delphine Arnault, per esempio, è ceo di Christian Dior Couture dal 2023. Ma di fare spazio non se ne parla: «Dico subito che non ho in progetto di andarmene… né a breve né a medio termine», ha affermato con fermezza lo scorso anno durante l’assemblea della holding.
Detto, fatto. La settimana scorsa ha voluto cambiare per la terza volta lo statuto: ora potrà restare alla guida di Lvmh fino a 85 anni (prima il limite era 75, poi spostato a 80). Eppure il numero uno della moda francese non è un uomo solo al comando tanto che spesso ha ribadito come «il modello familiare, specialmente nel settore del lusso, sia la chiave del suo successo».
Testimone di nozze di Nicolas Sarkozy con Cecilia Sarkozy e ospite d’onore al Fouquet’s la sera della sua elezione, Arnault è anche molto amico di Tony Blair. Durante la pandemia di Covid fece convertire alcune sue fabbriche di profumi per produrre e distribuire gratis disinfettante, ben consapevole di aver assunto in Francia un ruolo simbolico e sociale. Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Legione d’Onore è anche Grande Uffciale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (a Venezia è di casa, avendo acquistato l’hotel Cipriani).
Appassionato d’arte, l’ha sostenuta in molte forme e con la Fondazione Louis Vuitton mira a valorizzare la creazione artistica contemporanea francese e internazionale e a rendere l’arte accessibile a un vasto pubblico. Ammirato da Apple si è sempre tenuto alla larga dal mondo tech: «Siete sicuri che tra vent’anni la gente userà ancora un iPhone? Non è detto, mentre posso garantirvi che continuerà a bere champagne Dom Pérignon». Ai posteri, l’ardua sentenza. E sapremo se per Arnault, come per Napoleone, sarà vera gloria.
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