Effe come Finanziere, emme come Mecenate: il destino di Francesco Micheli (87 anni) era scritto già nelle cifre che i genitori hanno cucito sulla sua vita e che da sempre indossa ribattute tono su tono sulle sue camicie. Come fili intrecciati sul telaio disegnano la trama di una carriera poliedrica che porta Micheli ad alternare il ruolo di manager, a quello di imprenditore, financo di “inventore” di alcune matricole di Borsa e di venture capitalist.
Francesco Micheli e gli inizi a Piazza Affari
Tutto inizia in Piazza Affari, a poche centinaia di metri da via Vincenzo Monti, dove Francesco vive con la famiglia dopo aver lasciato Parma con ancora indosso i pantaloni corti. Terminati gli studi e sconsigliato dalla madre di seguire le orme paterne, inizia a cavallo degli anni ’50/’60 come semplice remisier nella “Sala delle Grida” di Palazzo Mezzanotte, la stessa dove la scorsa settimana era seduto in prima fila per la presentazione del settimanale Moneta. «Di musicista in casa ne basta uno», aveva ammonito la madre con quella solida praticità tratta dalle proprie origini padovane.
Grazie al padre, compositore e insegnate al Conservatorio Verdi, Francesco impara invece quel contrappunto che ancora oggi lo accompagna. Tecnica che lo aiuta ad annodare giorno dopo giorno un’innata attitudine a guardare più lontano degli altri – quindi anche a precederli negli affari – con la passione per il bello declinato in ogni sua forma d’arte e con una certa dimestichezza a leggere oltre i numeri dei bilanci.
Dal grande Aldone Ravelli, un mito in Piazza Affari nel secondo dopoguerra, apprende anche grazie al suo braccio destro Remo i rudimenti della finanza più aggressiva, come era in quegli anni, senza regole e senza limiti all’insider trading. La Borsa, il linguaggio gestuale degli agenti di cambio sommersi dagli ordini chini ai propri banchetti allineati, diventa così l’inizio della collezione d’affari di Micheli.
L’ascesa
Ben presto, infatti, dopo un passaggio non lungo nel mondo romano, Francesco si accompagna prima al gotha della finanza milanese quale braccio destro dell’allora dominus di Montedison Eugenio Cefis, sodale e a un tempo rivale di Enrico Cuccia, a stretto contatto con Carlo De Benedetti e Raul Gardini, commensale di Roberto Calvi; in barca andava con Gianni Agnelli e Marco Tronchetti Provera.
Si mette quindi in proprio sotto l’ombra della Madonnina per parlare delle primissime start-up ai grandi investitori istituzionali. Nella sovracoperta che introduce alla sua biografia – «Francesco Micheli, il capitalista riluttante- Confessioni dal cuore del potere», edizioni Solferino – si ribadisce più volte che egli è stato per anni nel centro del potere economico italiano. Ma chi lo conosce da vicino può confermare che si è sempre mostrato schivo al riguardo: un capitalista riluttante, appunto. Eppure passato alla storia per la scalata alla Bi-Invest, che nel 1985 ha scosso il capitalismo italiano, contribuendo a indirizzare i destini della chimica italiana ben prima che Gardini potesse esclamare, in una affollata assemblea di industriali veneti: «La chimica sono io».
Innamorato del mare, del volo, delle imprese estreme oltre che fine musicista (grande amico di Luciano Berio e Maurizio Pollini, spesso ospiti nella sua elegante dimora milanese), nel mondo della cultura è annoverato tra i mecenati più illuminati che mal sopportavano la “Milano da bere”. E ancora è oggi considerato uno dei più raffinati collezionisti d’arte.
Nel pieno della sua ricerca di una dimensione che non fosse soltanto dominata dall’arida alta finanza, si incarica di rilanciare la casa d’aste Finarte e di sostenere progetti di grande qualità, a cominciare dal Concorso Pianistico internazionale in onore di suo padre come sponsor del Conservatorio milanese. Ma Micheli è molto di più.
Chi avrà la ventura di leggere la sua biografia, scoprirà un uomo che con grande coraggio nel mentre racconta le sue avventure a bordo dell’amata Jupiter (il 30 metri con cui ha attraversato con i figli Carlo e Andrea tutti gli Oceani, che solo nel 2000 è stata pensionata per fare posto alla splendida Shenandoah) confessa i suoi errori di marito, che però mai ha rinnegato il primo amore, pur difendendo la sua insaziabile curiosità verso tutto ciò che di bello la vita può offrire.
C’è chi lo ricorda per la scalata a Interbanca e chi per l’innovazione rivoluzionaria eBiscom poi divenuta Fastweb. E c’è chi invece ne ammira la scommessa fatta con Umberto Veronesi sulla società Genextra alla ricerca di soluzioni per le malattie più gravi. Nella sua biografia sono citati non meno di duecento amici che lo hanno accompagnato nell’avventura della vita fin dai primi anni. Tra questi anche Enrico Cuccia: «L’uomo era capace di grandi cattiverie e di spietate vendette – scrive Micheli – Ma alla mia bella età posso dire di essere l’unico sopravvissuto alle angherie di Cuccia, il che non è poco». Una visione del dominus di Mediobanca che molti avevano già allora ma che nessuno ha mai avuto il coraggio di esplicitare in modo tanto crudo. Anche da morto.
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