L’elicottero vira e appare il gigante del mare, l’unica “nave” al mondo per la produzione di gas liquefatto in acque ultra profonde. I sei pozzi sono a 2mila metri di profondità ed i tubi proseguono bucando il fondale marino per altri 2 chilometri e mezzo fino all’enorme giacimento scoperto dall’Eni. A sole 34 miglia da Palma, nel nord del Mozambico, la Coral Sul è il fiore all’occhiello dell’Ente nazionale idrocarburi fondato da Enrico Mattei. Un gioiello tecnologico lungo 432 metri e largo 65, color arancione, con un groviglio di tubi e delle piccole fiammelle di sicurezza sprigionate da un’alta torre, unico segno visibile del gas. “Siamo dei pionieri – afferma Simone Senna responsabile di Coral Sul – Lavorare in un impianto del genere è un orgoglio nazionale per noi e per tutti i colleghi mozambicani”.
L’Eni ha investito nel progetto al largo del Mozambico 7 miliardi di dollari. Ben 5 sono serviti per realizzare la “nave”, senza motore, nei cantieri sudcoreani, gli unici, assieme a quelli cinesi di minore qualità, abbastanza grandi per varare il gigante arancione. Coral Sul è stata poi rimorchiata fino al continente africano dove, dal 2022, ha una capacità di liquefazione di 3,4 milioni di tonnellate di gas naturale all’anno. Il “tesoro” a 4500 metri di profondità, nel bacino di Rovuma, è di 2500 miliardi di metri cubi di gas, una quantità enorme. “Abbiamo appena completato il centesimo carico di gas liquefatto sulle navi che lo trasportano in tutto il mondo” spiega Marica Calabrese, manager dell’Eni in Mozambico, spigliata e occhioni azzurri. La sala di controllo a poppa sembra la plancia di un’astronave. Josè Cleriston Zua è incollato a grandi schermi: “Monitoriamo e controlliamo i sei pozzi, 24 ore al giorno”.
Non mancano sonar, radar, telecamere ad infrarossi e imbarcazioni d’appoggio pronte a sventare eventuali minacce. “L’analisi del rischio conferma che non ci sono pericoli di attacchi e sabotaggi. Siamo in mezzo al mare” sottolinea Calabrese. Le coste mozambicane non sono molto lontane e dal 2017 la provincia settentrionale di Cabo Delgado è dilaniata da un’insorgenza islamica, che a parole si ispira allo Stato islamico. Arabi o jihadisti stranieri sono pochi e annidati nelle basi immerse nella foresta. La giovane manovalanza viene arruolata da emissari che pagano le famiglie più povere e numerose fino a 6mila euro per consegnare un figlio maschio. L’ultimo attacco ai primi di aprile, con tanto di bandiere nere del Califfato che sventolavano nel villaggio dato alle fiamme, è avvenuto ad un centinaio di chilometri di distanza della base di Eni a Pemba, un piccolo fortino.
“La confinante Tanzania lascia passare imam radicali o jihadisti appena rilasciati che fomentano il nord del Mozambico” rivela una fonte di intelligence. Le truppe ruandesi, i prussiani d’Africa, sono intervenute al fianco dell’esercito mozambicano assestando duri colpi ai terroristi. La zona ricca di gas, di oro e miniere di pietre preziose, è stata ribattezzata “il nuovo Qatar”, ma l’emirato resta fuori dai giochi per lo sfruttamento dei giacimenti che potrebbero dare fastidio ai suoi interessi nel mercato energetico. La Tanzania ha bacini con 1,6 trilioni di gas sfruttati solo in parte e vorrebbe attirare maggiormente gli investimenti di grandi compagnie come la Exxon. L’Area 4, il “tesoro” poco più a Sud scoperto dagli italiani, è gestita da Mozambique Rovuma Venture, una joint venture di proprietà di Eni, ExxonMobil e China National Petroleum Corporation, che detengono una quota del 70% nel contratto di concessione per l’esplorazione e produzione.
“Gli introiti per il governo di Maputo sono enormi – dichiara Calabrese – Parliamo di circa 16 miliardi di dollari di entrate (in 25 anni nda) e abbiamo creato 1400 posti di lavoro, diretti e indiretti. Fino ad oggi le imprese mozambicane hanno ottenuto contratti per 800 milioni di dollari”. A bordo della Coral Sul vivono 250 persone, di diverse nazionalità, che si mescolano in una mini cittadella con tanto di palestra, sala relax con l’immancabile biliardino ed un cinema dove si esibisce un’ottima band mozambicana composta da chi lavora sull’impianto. Per entrare nell’area ad alta sicurezza della “nave”, in pratica tre quarti dello scafo verso prua, bisogna indossare caschetto, tuta arancione, scarpe protette ed è proibito qualsiasi strumento elettronico. Il gas arriva attraverso la “torretta” una struttura fissa, capolinea dei tubi immersi nel giacimento. La piattaforma galleggiante gira attorno alla torretta ed il gas “viene portato a -162 gradi trasformandolo in liquido per poterlo caricare sulle navi” spiega Calabrese.
L’Eni è orgoglioso dei progetti a favore della popolazione, non solo nell’area di Pemba. “Ad oggi abbiamo investito circa 20 milioni di dollari puntando sugli ospedali, le scuole, l’agricoltura, i pozzi d’acqua – sostiene la responsabile in Mozambico – Stimiamo che con questa iniziative i benefici abbiano coinvolto circa mezzo milione di persone”. Letti della terapia intensiva e una preziosa Tac consegnata all’ospedale provinciale di Pemba, che permette ai pazienti, come spiega il direttore, Antonio Carvalho, in camice bianco, “di non fare più 400 chilometri per questo esame fondamentale”. L’istituto industriale e commerciale di Pemba, rinnovato da Eni, ha 570 studenti che diventeranno elettricisti, contabili, meccanici e tecnici del gas. La giovane e sorridente Animata Sauarè racconta: “Vendo ancora dolcetti, ma sto studiando logistica per diventare qualcuno in futuro”. L’investimento di 3 milioni di dollari di Eni riguarda anche “le borse di studio per gli studenti che fuggono dalla zone infestate dal terrorismo” spiega il direttore della scuola professionale, Mussa Caisse. Abdalla Sulaine, che vuole diventare elettricista, ha dovuto lasciare la sua casa davanti ai raid jihadisti. “All’improvviso siamo stati attaccati – ricorda il ragazzo musulmano – E’ stato un giorno terribile e hanno ordinato a tutti di pregare “altrimenti vi ammazziamo, compresi i bambini”. Dicono di essere soldati di Allah, ma Dio non manda nessuno ad uccidere”.
L’Istituto Don Bosco, a Maputo, è un fiore all’occhiello dell’intervento missionario in Africa, che permette a migliaia di giovani di studiare e trovare lavoro. L’Eni vuole fornire a 10 milioni di africani in difficoltà, in diversi paesi, e altrettanti entro il 2030, dei “fornelli migliorati” per cucinare che risparmiano fino al 75% del carbone o della legna. L’investimento è di 300 milioni dollari di dollari e genera crediti di alta qualità nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. I ragazzi di padre Giuseppe Meloni ne sfornano 250 al giorno e arriveranno a 400 anche a legna. Nelle favelas di Maputo sono già stati distribuiti 57mila fornelli “puliti” prodotti dall’officina dell’Istituto Don Bosco. “Per partito preso e ideologia, c’è chi spara a zero sulle società straniere accusandole di sfruttamento delle risorse africane a discapito della povera gente – osserva il missionario da 21 anni in Mozambico – Dovrebbero venire a vedere sul posto cosa significa la povertà. Senza l’aiuto dell’Eni come potrei dare una speranza a migliaia di giovani?”.
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