Igor Garzesi è abituato alle sfide. Sin dalla nascita, nel 1971, in un villaggio sperduto della Grecia a una cinquantina di chilometri da Atene. I genitori, un ingegnere civile piemontese e una andalusa trapiantata a Barcellona, erano lì per caso, in visita da amici. Il parto però era arrivato prima del previsto, non c’era ospedale e così è venuto al mondo grazie all’aiuto del medico veterinario del paese. Garzesi parla quattro lingue: per seguire con la famiglia il lavoro del padre, è cresciuto conoscendo Paesi e culture differenti, dalla Grecia alla Siria, da Torino a Barcellona. Dove si è laureato in direzione aziendale per poi ripartire di nuovo, stavolta per scelta personale.
Durante il Bachelor of business Administration all’università di Utrecht, vede le pubblicità di Deloitte: fa domanda di assunzione, batte 500 candidati e comincia a lavorare come revisore. Prima a Barcellona e poi a Los Angeles, in California. Per mettersi nuovamente alla prova, chiede di essere spostato al dipartimento Merger & Acquisitions. Da revisore diventa consulente e il suo talento finanziario non passa inosservato. Dopo due anni gli arriva la proposta di tornare in Deloitte a Barcellona, proprio per aprire i servizi di M&A. La prima operazione è quella di Fibanc, il futuro Banco Mediolanum, gruppo che in breve lo chiama come direttore Operations per poi diventare direttore generale e infine amministratore delegato. Ma Garzesi riparte di nuovo. Da Barcellona a Milano 3, perché dal primo gennaio 2024, è direttore generale di Banca Mediolanum.
«Mi ha subito affascinato Ennio Doris e il suo modello di banking personalizzato e senza filiali, che accompagna e protegge i clienti. Quando nel 2001 mi ha portato a lavorare per lui uno dei miei primi incarichi era chiudere gli sportelli tradizionali anche se la competizione nel credito allora si basava pressoché esclusivamente sul presidio del territorio con le filiali. Ennio è stato un genio, un visionario». Garzesi definisce la sua carriera in Banca Mediolanum come una traiettoria «molto fortunata e piena di nuove sfide». A cominciare dal contesto normativo. «Si tratta di una sfida complessa, perché negli ultimi anni in Europa è stato introdotto un numero significativo di normativa. Se da un lato regolamentare è fondamentale, dall’altro è importante trovare un equilibrio per non penalizzare la competitività delle imprese. Prima di introdurre nuove regole, potrebbe essere utile un confronto più diretto con le banche e gli operatori sul campo. Un approccio simile a quello che adottiamo in Banca Mediolanum, dove i dirigenti si affiancano periodicamente ai family banker per comprenderne le esigenze. Inoltre, alcune normative potrebbero essere riviste o eliminate quando il contesto cambia e la loro funzione si esaurisce. La crescente complessità normativa sta portando molte banche a dedicare risorse significative alla conformità normativa: nel nostro caso, il 40% degli investimenti tecnologici è destinato a questo scopo».
Il mandato che ora gli è stato affidato in Banca Mediolanum da Massimo Doris è continuare a far crescere quel modello vincente grazie anche alla tecnologia a all’intelligenza artificiale. «Vedo l’AI come il nuovo vento per una barca a vela, alla guida ci deve essere però sempre l’uomo che non è sostituibile. Viviamo anche un’epoca di iperefficienza, ma la maggiore capacità fornita dalla tecnologia, se non è a beneficio dei clienti, non ha alcun valore». Nel contesto attuale, confuso e di incertezza, va tenuta la barra ancor più dritta tra conflitto in Ucraina e guerra commerciale globale.
«Questo è uno di quei momenti dove è ancor più decisivo essere al fianco delle famiglie italiane. Non a caso quando ci sono cali del mercato registriamo una maggiore raccolta rispetto ai concorrenti perché Banca Mediolanum riesce a fare la differenza. Quando i mercati tremano, il risparmiatore può essere preso dall’ansia e in quel momento non cerca un algoritmo ma una voce fidata, quella del proprio banchiere di famiglia che conosce il suo percorso finanziario e che lo guidi con razionalità, non seguendo l’emotività. Così si fa la differenza. La performance vera non è quella del prodotto, ma quella del comportamento dell’investitore», aggiunge Garzesi. «Diceva Ennio Doris che noi siamo i medici del risparmio», spiega a Moneta citando l’ultimo progetto che la banca ha battezzato Life Planning. Il consulente misto non è solo un esperto di investimenti, ma accompagna il cliente in ogni fase della sua vita, a cominciare dalla protezione dai grandi rischi. «Life Planning è come uno stetoscopio digitale ad uso del banchiere, per proseguire nella metafora».
Quali sono, secondo Garzesi, altre grandi sfide del sistema finanziario da qui a dieci anni? «L’alfabetizzazione e l’educazione finanziaria perché dobbiamo preparare al cambio generazionale che è silenzioso ma profondo. Nei prossimi dieci anni passeranno da una generazione all’altra circa 300 miliardi di ricchezza delle famiglie italiane che vanno, quindi, sostenute in questo percorso. Abbiamo appena lanciato un portale di educazione finanziaria, CosaConta, e inaugurato una serie di incontri sul territorio, il primo dei quali con la vicepresidente Sara Doris». E poi è necessario un corretto piano di formazione. «Inseriamo continuamente, attraverso il programma Next, giovani neolaureati che si affiancano ai professionisti con maggiore esperienza. Inoltre, ho voluto che tutti i dirigenti debbano affiancare almeno una volta all’anno, i family banker nella loro operatività quotidiana per vivere direttamente l’esperienza sul campo».
Sullo sfondo, tuttavia, le banche tradizionali stanno perdendo quota di mercato perché sono cambiate le abitudini dei clienti, i quali non vogliono operare esclusivamente attraverso il canale digitale. «Per questo il nostro è un modello vincente, negli ultimi 14 anni le banche reti, ovvero di consulenti finanziari, sono passate dal detenere il 9% della ricchezza delle famiglie italiane a quasi il 20%, a discapito di quelle tradizionali che mantengono un vantaggio, ma tra dieci anni quel gap sarà sicuramente inferiore». E questo ci porta alla nuova stagione del risico bancario perché «i nuovi assetti derivanti da aggregazioni devono sostenere costi rilevanti e adeguamenti tecnologici per le funzioni di compliance. In questi casi devono affrontare eventuali perdite di quote di mercato, con clienti, l’asset principale, che potrebbero preferire un nuovo istituto. Ma quella delle aggregazioni è una strada obbligata in Italia e in Europa, proprio per le economie di scala».
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