Emanuele Orsini tenta faticosamente di realizzare il programma grazie al quale ha conquistato il timone della Confindustria promettendo di riunire le sue diverse anime. Ma c’è una crepa verticale che da qualche settimana lo preoccupa, una crepa che se non viene saldata quanto prima, rischia di diventare una frattura insanabile. Poche settimane fa sul sito ligure Piazzalevante.it è apparso un lungo editoriale firmato da Antonio Gozzi, patron di Duferco, presidente di Federacciai e special advisor di Confindustria con delega al Piano Mattei. Più che un editoriale, in realtà si tratta di un j’accuse verso i grandi produttori di energia senza spirito patriottico, «che, pur avendo fatto enormi profitti negli ultimi tre anni, sembrano incapaci di proporre soluzioni di sistema per aiutare le imprese industriali e le famiglie italiane, che sono i loro clienti e che oggi soffrono per il caro energia».
Gozzi punta il dito contro le aziende iscritte a Confindustria colpevoli, a suo dire, di non rinunciare alla loro «formidabile rendita». Le chiama «rinnovabilisti, che «non sono solo i piccoli e medi investitori privati» ma «soprattutto i grandi produttori elettrici come Enel, Edison e le grandi utilities A2a, Hera, Iren eccetera, tutti riuniti nell’associazione che prende il nome di Elettricità Futura», attacca nel suo intervento rilanciato qualche giorno dopo, a metà marzo, con un altro editoriale dal titolo eloquente «Parlerò finché avrò fiato in gola». Critiche legittime, solo che Gozzi non è soltanto il numero uno di Federacciai e di Duferco, la sua creatura, ma è anche lo special advisor di Confindustria con delega ad autonomia strategica europea, Piano Mattei e competitività. Ed Elettricità Futura, oggi presieduta da Gianni Vittorio Armani (direttore di Enel Grids and Innovability), è la principale associazione confindustriale del mondo elettrico italiano.
Nel bel mezzo di una crisi energetica scatenata dagli effetti della guerra in Ucraina, gli industriali marciano divisi. Con due fazioni contrapposte che coabitano nell’associazione. Da un lato Federacciai, dall’altro Elettricità Futura, che tra l’altro il 17 febbraio ha deciso di uscire dal Coordinamento Free delle 23 associazioni nazionali delle fonti rinnovabili. E dunque, la dichiarazione di guerra tra complessi energivori e produttori di energia è stata ufficializzata, con le grandi acciaierie schierata in prima linea.
Gozzi nel suo j’accuse sembra però trascurare un dettaglio. Ovvero che negli ultimi 15 anni, le grandi imprese italiane hanno ricevuto sussidi energetici per circa 20 miliardi da parte della collettività attraverso un prelievo in bolletta. I soldi sono serviti a tenere sotto controllo i costi, ma negli anni hanno contribuito a irrobustire i bilanci dei grandi energivori anche quando non c’era alcun bisogno. Peraltro, i finanziamenti sono progressivamente cresciuti arrivando a oltre 2 miliardi l’anno. Le imprese italiane che consumano molta energia sono circa 3.800, però solo 400 sono grandi complessi e, come detto, dono soprattutto loro ad aver beneficiato dei sussidi.
C’è chi scommette che alla fine Elettricità Futura potrebbe addirittura uscire da Confindustria. Si vedrà. Ma la battaglia intanto resta aperta. E il problema è che questa frizione interna a Viale dell’Astronomia rallenta la soluzione dei problemi in un comparto già abbondantemente frenato da burocrazia e veti ideologici. E gli effetti rischiano di impattare anche sulla partita dell’idroelettrico che è fondamentale per la sovranità del Paese. I nostri bacini, infatti, interessano molto ai francesi e ad altri cugini europei. Senza dimenticare il tema dei costi per imprese e famiglie. Il governo ha di recente varato il Dl Bollette ma finché in Italia non verrà garantito a monte un mix energetico con il nucleare, cambiando anche il sistema degli aiuti, si tratterà solo di tamponare le emergenze e tappare le falle.
Per non dire del fatto che nel tritaragioni è finito anche il tema del disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità prodotta con le due differenti tecnologie, gas e rinnovabili. «Ne ha parlato più volte Draghi sia da presidente del Consiglio sia da estensore del rapporto sulla competitività europea per Ursula von der Leyen, e ne parlano sempre più spesso associazioni e operatori di mercato», ha sottolineato non a caso Gozzi nel suo editoriale levantino. Peccato che “disaccoppiare” non sia così facile. Non solo perché si minerebbe metà economia italiana, ma anche perché senza le risorse delle grandi società pubbliche la Confindustria non sta in piedi.
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