Stellantis punta all’eccellenza e a migliorare il benessere dei suoi dipendenti», parola di un raggiante Carlos Tavares. Era il 19 gennaio 2021, giorno del lancio di Stellantis, il frutto della fusione tra Psa e Fca. A distanza di quattro anni, il benessere dei lavoratori, almeno in Italia, è rimasto sulla carta tra cassa integrazione record, uscite incentivate, fabbriche «più stop che go», produzione tornata ai minimi dal 1956 e marchi iconici con l’acqua alla gola. Tavares, dal canto suo, alla fine è stato messo alla porta. In verità, l’obiettivo di migliorare il benessere lo aveva raggiunto, ma per se stesso, tra stipendi, bonus e mega liquidazione (per il 2024 incasserà 35 milioni), e per gli azionisti del gruppo che in questi anni hanno fatto il pieno di lauti dividendi (di 2 miliardi la cedola appena approvata). Per i lavoratori italiani il benessere si è invece trasformato in un crescente malessere.
Per la fine del 2025, intanto, la previsione produttiva per l’Italia si prospetta drammatica, al di sotto dei dati di chiusura del 2024 sul 2023 (283.090 auto uscite dagli stabilimenti, -45,7%) per complessivi 475.090 veicoli sfornati, comprendendo i furgoni. Il calo generale, secondo il prospetto Fim-Cisl, è stato del 36,8%.
Una valutazione, che tiene conto dell’andamento del primo trimestre 2025 rapportato allo stesso periodo del 2024 (-42,5% le auto e -24,2% i commerciali, -35,5% la caduta totale) vedrebbe al 31 dicembre prossimo tra 230mila e 250mila auto prodotte in Italia e appena sotto quota 200mila unità i veicoli commerciali (192mila quelli realizzati lo scorso anno).
Unico possibile inizio di «effetto rimbalzo», nel 2025, potrebbe derivare dalla Fiat 500 ibrida, da novembre a Mirafiori, ma si sarà ormai prossimi alla chiusura d’anno. Quindi, c’è poco da illudersi. Domanda d’obbligo: perché il trasloco della 500 ibrida dalla Polonia non è stato deciso prima? La 500 elettrica, del resto, non ha soddisfatto le attese eccessivamente ottimistiche.
Con Tavares tornato nella sua tenuta portoghese a occuparsi di Porto, il presidente John Elkann è rimasto con il cerino acceso tra le dita tanto che ha dovuto richiamare l’ex Cfo Richard Palmer, tra l’altro già nella Fca con Sergio Marchionne, come suo consigliere speciale, demandando a Jean-Philippe Imparato, responsabile dell’Europa allargata, la soluzione dei problemi creati dalla precedente gestione.
Il nuovo «Piano Italia», realizzato a tempo di record, prevede per l’anno in corso 2 miliardi di investimenti negli impianti e 6 miliardi in acquisti da fornitori del Paese; una nuova piattaforma Small per Pomigliano d’Arco; la Fiat 500 ibrida per Mirafiori da novembre; a Melfi l’ibridizzazione dei modelli previsti tra il 2025 e il 2026 in un primo tempo pianificati solo elettrici; novità ad Atessa per i furgoni; un modello nuovo top di gamma a Cassino in aggiunta alle riedizioni delle Alfa Romeo Giulia e Stelvio.
E Maserati? E la tanto sbandierata gigafactory a Termoli? Nel primo caso nulla di concreto all’orizzonte. Per Termoli il presidente Elkann ha riconosciuto gli eccessivi costi energetici in Italia. Ma non poteva dirlo chiaramente prima? Il progetto è stato così dirottato in Spagna, dove le condizioni sono più convenienti. Nel sito, intanto, sono state avviate soluzioni «tampone».
A questo punto, il 2026 sarà l’anno spartiacque dopo un 2025 con numeri stimati ancora sotto quelli di un 2024 da dimenticare. Per la serie: o ci sarà un impatto positivo, grazie alle novità in calendario, o «senza un’inversione di tendenza significativa nel 2026, come anche dicono in Stellantis, le cose si metteranno veramente male. Da parte nostra diciamo no a chiusure di fabbriche in Italia, ma non sappiamo cosa hanno in testa i vertici del gruppo, anche in vista dell’arrivo del nuovo Ceo. Il 2026 sarà, comunque, l’anno della verità», afferma un sindacalista. Pessimista Andrea Taschini, advisor e manager automotive: «Le grandi e coraggiose svolte strategiche che si sarebbero dovute compiere in tempi facili, oggi in un mercato strutturalmente in calo, con Bruxelles che non si rassegna a cancellare il Green Deal, sono diventate urgenti, ma avranno un impatto decisamente maggiore tanto che la sorte di Stellantis in Italia sembra arrivata ai titoli di coda. Una ristrutturazione dovrà per forza passare da una riduzione della capacità produttiva e del numero dei suoi relativi impianti».
E Marco Rizzo, coordinatore di Democrazia sovrana popolare, figlio di operai (il papà Armando, classe 1921, ha lavorato a Mirafiori): «La Fiat, ora Stellantis, ha sempre mosso i suoi passi sulla base di un principio, quello di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Cosa fare adesso? Si eviti di correre dietro a stupidaggini come Green Deal e armamenti. I disastri di questi anni hanno segnato la vita del Paese, delle famiglie e dei lavoratori»
© Riproduzione riservata