La nuova stagione mette in discussione gli equilibri geopolitici consolidati nel dopoguerra e poi successivamente alla caduta del muro di Berlino. E la guerra dei dazi ha messo ulteriormente a nudo le fragilità di un’Europa che soffre di esiziali dipendenze strategiche, prima fra tutte quella energetica, come si è visto durante il conflitto, tuttora in corso, in Ucraina. E per il cibo? Quanto pesa l’iniziativa di Donald Trump sul comparto agroalimentare e come si può reagire? Ne parliamo con Enzo Gesmundo, Segretario Generale della Coldiretti, la più grande Organizzazione agricola in Europa.
Gesmundo, quale incidenza avranno i dazi americani sul nostro sistema agroalimentare?
«Un peso rilevante, parliamo di un mercato straordinariamente importante per il nostro Paese. A pagarne le conseguenze potrebbero essere tutti i cittadini italiani, non solo le imprese che sul mercato statunitense rischiano di perdere 1,6 miliardi. L’Italia non è solo un grande esportatore ma è anche un forte importatore di prodotti agricoli: nel 2024 ha raggiunto la cifra record di 22,5 miliardi con un aumento dell’8%».
Che cosa teme maggiormente?
«Dazi, contro-dazi e altre misure nocive rischiano di comprimere rapidamente mercati di prodotti come mais, soia e grano per i quali siamo autosufficienti rispettivamente per il 46%, 32% e 44%. Si tratta di elementi determinanti per la dieta degli italiani, in maniera diretta come il grano per la pasta o indiretta come il mais e la soia destinati all’alimentazione degli animali da allevamento che poi producono il latte, la carne e i formaggi che finiscono sulle nostre tavole».
Quindi il problema è più complesso: oltre a pesare maggiormente sulla spesa degli italiani, rischiando di trasformarsi in una criticità strutturale.
«C’è l’esigenza di contrastare le motivazioni strutturali e di mercato che hanno spinto all’abbandono delle campagne varcando un nuovo piano agricolo nazionale che consente di colmare il gap produttivo, ma anche di generare effetti positivi su ambiente e paesaggio. Dobbiamo recuperare un’idea di autosufficienza, lo chiede il tempo in cui viviamo».
Quanto ha inciso la cementificazione in questa deriva?
«La scomparsa di terreni fertili ha bruciato 21 miliardi in valore di prodotti agricoli in poco meno di un ventennio, Confrontando i risultati dei censimenti agricoli dal 2000 al 2020, la superficie agricola totale è passata da 18,8 milioni di ettari a 16,1, con un calo netto di 2,7 milioni di ettari».
Lei parla dell’ultimo ventennio, ma volgiamo lo sguardo più lontano.
«Se si guarda più lontano, a causa della cementificazione e dell’abbandono l’Italia ha perso quasi 1/3 dei terreni agricola nell’ultimo mezzo secolo. Un fenomeno che ha avuto gravi ripercussioni sui raccolti ma anche sulla gestione del territorio e sulla stabilità idrogeologica del Paese, aggravando gli effetti dei cambiamenti climatici e delle condizioni meteo estreme».
Argomenti non nuovi…
«Non saranno nuovi ma sono le ragioni che ci spingono ad alzare ulteriormente il tiro nella battaglia per una legge efficace contro il consumo del suolo chiedendo una più diffusa attuazione delle norme contro le pratiche sleali per arrivare a garantire un giusto reddito alle imprese agricole, che resta il nostro principale obiettivo».
Come si ferma concretamente questa tendenza all’abbandono?
«Si deve agire su diversi fronti complementari. Partiamo ad esempio dall’emergenza siccità, ormai strutturale e che inevitabilmente limita le capacità agricole di vasti territori, in particolare al Sud.
Pensiamo che un piano di invasi su larga scala, capace di garantire acqua ed energia e di prevenire gli effetti dei cambiamenti climatici, debba essere una risposta non più rimandabile.
Oggi l’acqua piovana va a finire nei 230mila chilometri di canali lungo il Paese e sprecata nel mare. In questo modo perdiamo per sempre dell`acqua dolce, un bene sempre più prezioso».
E Coldiretti come intende interagire?
«Insieme all’Anbi, l’Associazione nazionale delle bonifiche, abbiamo elaborato un progetto per la realizzazione di un sistema di bacini di accumulo con un metodo di pompaggio che garantirebbe riserve idriche nei periodi di siccità ma anche di limitare l’impatto sul terreno di piogge e acquazzoni sempre più violenti che accentuano la tendenza allo scorrimento dell’acqua nei canali asciutti. Fondamentale quindi il recupero degli invasi già presenti sul territorio».
Aiuta il quadro normativo attuale?
«Penso sia il momento di concludere l’iter di approvazione del regolamento sulle Tea e rendere operativa una normativa Ue che permetta di valorizzare le straordinarie opportunità offerte dalle nuove tecniche di evoluzione assistita, con l’obiettivo di metterle a disposizione degli agricoltori italiani ed europei per combattere i cambiamenti climatici e ridurre l’uso di input chimici».
Come superare il problema dei vecchi Ogm?
«Le nuove tecniche genomiche non hanno nulla a che fare con gli Ogm, ma permettono di riprodurre in modo mirato i meccanismi della selezione naturale. In Italia uno dei temi è la proliferazione dei selvatici.
Una vera e propria invasione che causa danni per 200 milioni l’anno. Poi c’è il tema dell’innovazione, per favorire una gestione più accurata dei cicli produttivi e quindi migliore dal punto di vista quantitativo e qualitativo».
A proposito di agricoltura di precisione, come sta funzionando Demetra?
«L’app sta funzionando molto bene. Nell’idea di una digitalizzazione importante, Demetra è di grande aiuto nella gestione online dell’azienda agricola con lettura in tempo reale dello stato di salute delle coltivazioni. Dati su previsioni meteo e temperatura, fertilità dei terreni e stress idrico vengono controllati e filtrati secondo le proprie necessità per migliorare la produttività ei bilanci aziendali».
In una fase tanto complicata che cosa dobbiamo chiedere all’Europa? Per come si è comportata nel passato si fatica a pensare a un diverso atteggiamento.
«Bisogna affrontare il problema numero uno che hanno le nostre imprese nei rapporti con l’Unione: l’eccesso di burocrazia. Un dazio occulto che in agricoltura nella precedente Commissione ha raggiunto livelli assurdi con il Green Deal del vicepresidente Timmermans.
Ora il vicepresidente Raffaele Fitto e il commissario per l’Agricoltura Christophe Hansen hanno annunciato un cambio di passo. Vigileremo che avvenga: le imprese agricole vanno tutelate con più semplificazione, partendo dalla riduzione dell’incomprensibile carico di impegni associati agli eco-schemi».
Tornando all’attualità, quali sono le previsioni per l’anno?
«Al momento è prevedibile una rilasciata delle superfici coltivate a grano duro con un calo stimato del 6-7% rispetto ai 1,177 milioni di ettari dello scorso anno, che arriva al 10% in regioni come la Puglia e la Sicilia, a causa delle bassissime rese registrate, soprattutto nella seconda, per la siccità nel raccolto 2024 ma anche della difficile situazione dei mercati e dell’aumento dei costi di produzione».
Quanto pesa sul mercato nazionale l’impatto delle importazioni dalla Turchia e dal Canada dove si coltiva con tecniche vietate in Italia in pre-raccolta?
«Pesa molto. Non possiamo continuare a importare prodotti che applicano regole diverse, con usi indiscriminati del glifosato. La mancanza di reciprocità negli standard penalizza i nostri agricoltori ma anche i nostri consumatori»
È dunque per questo che Coldiretti è contraria al Ceta, l’accordo tra il Canada e l’Unione europea?
«Coldiretti è favorevole agli accordi di libero scambio, purché siano rispettosi del principio di reciprocità. E cioè che le regole sul piano produttivo, sanitario e del lavoro che valgono per i nostri produttori vengono rispettate anche per le importazioni. Questo non accade con il Canada, dove il grano viene fatto seccare secondo modalità vietate in Italia, appunto con il glifosato, sul quale gravano pesanti accuse per i rischi per la salute. Aggiungo anche il fatto che, a differenza di quanto propagandato, il Ceta è un pericoloso precedente che consente alle industrie canadesi di produrre e vendere le imitazioni locali di Asiago, Gorgonzola, Fontina e di usare il termine Parmesan come è facile verificare nei loro supermercati».
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